Baten Kaitos
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Nella realtà "Baten Kaitos" altro non è che l'astro d'una delle quindici costellazioni australi introdotte dal celebre Tolomeo. La stella in questione, che letteralmente significa"ventre della balena", ha dato parimenti nome ad un atteso J-Rpg di casa Namco (sottotitolato al di fuori del Giappone con "Eternal Wings and the Lost Ocean").
L'avventura, esclusiva Game Cube, si appresta ad arrivare nella nostrana Europa sul cadere della primavera 2005, ospitando al suo interno Kalas, il suo Spirito Guardiano (principale motore della trama) e le forme di un mondo le cui lande non radicano sul terreno come le nostre, ma fluttuano nei cieli e danno così vita ad un evocativo ed etereo arcipelago immerso nelle nuvole. E l'atmosfera che ne deriva è il primo dei biglietti da visita di un team come Monolith Software, una firma dello sviluppo da ritenersi indubbiamente prestigiosa. Alcuni dei membri del team, infatti, un tempo lavoravano sotto l'ala protettrice di Squaresoft e dopo aver contribuito alla creazione di capolavori quali Xenogears e Chrono Cross, per i creativi nipponici giunse l'ora dell'autonomia e di una nuova realtà lavorativa. Attualmente sotto produzione Namco, essi portano avanti la saga a volumi Xenosaga (Playstation 2) che dopo "Der Wille Zur Macht" è da poco arrivata nel paese del sol levante al suo secondo episodio: "Jenseits von Gut und Boese".
Per quanto concerne Baten Kaitos invece, la casa di Pac-Man ha fatto, se il termine ci è concesso, da mecenate, avvalendosi dello scrittore free-lance Masato Kato, delle composizioni di Motoi Sakuraba (ormai costante artefice di pentagrammi sopra la norma: si ascoltino i suoi lavori sotto etichetta Tri-Ace) e non ultime in importanza delle intuizioni sceniche dei "Masataka Kurasawa", team già responsabile dei filmati racchiusi in Onimusha ed immersi costantemente nella visione cinematografica orientale.
A supervisionare una simile ed invidiabile collaborazione fra più campi troviamo infine due dei vertici "monolitici": Honne e Nomura, rispettivamente ricoprenti i ruoli di direttore e produttore del progetto.
Un gioco tuttavia non vive di soli nomi, per quanto altisonanti questi possano essere (e nell'occasione rientrano certamente nella casistica), ma necessita sia di idee rinnovanti sia di caratteristiche che interpretino alla meglio il genere di riferimento. Sul fronte pratico non poche sono le sfumature che abbelliscono l'aspetto ludico del titolo analizzato, sfumature che emergono nel sistema di combattimento a base di carte e di conseguenza in ogni altro aspetto da esso derivato. Presenti in un numero a quattro cifre (si parla di un migliaio di Magnus, questo il nome "autoctono") ed ottemperanti gran parte di quelle funzioni tanto difensive quanto offensive generalmente affidate a statici menu, le carte alimentano gli scontri in cui convivono sorprendentemente un'ineluttabile casualità e delle scelte ponderate dal giocatore. Di conseguenza, il ritmo ludico si dividerà basilarmente in due strade, quello pacato dell'esplorazione e della ricerca (tutto secondo canone) e quello oltremodo vivace delle belligeranze e delle combo annesse. Una novità d'interesse è rappresentata peraltro dal modo con cui si guadagnano i soldi e si accrescono le proprie abilità: mentre per il primo termine citato la chiave di volta è insita nella fotografia (giacché immortalando i mostri di turno con un'adeguata Magnus si potranno vendere gli scatti ad appositi negozianti), per il secondo occorrerà recarsi in appositi templi dove, salvando in determinati punti contrassegnati di blu, si verrà ripagati della "devozione" con il potenziamento dei personaggi (alieni pertanto al consuetudinario level up).
Dopo Tales of Symphonia e l'atipico Paper Mario: Il Portale Millenario, entrambi surclassanti in consensi la trasposizione di Skies of Arcadia (la cui gloria, invero, va ricercata su Dreamcast), si può dire che almeno a livello qualitativo (non nella frequenza), la lacuna minacciante il Gamecube ed inerente i giochi di ruolo di matrice giapponese sembri quantomeno colmata, e l'attesa per Baten Kaitos non fa che migliorare la situazione.
Quello su cui attualmente si è sicuri, oltre al chiaro interesse mostrato per il battle system, è senz'altro l'estetica audio-visiva, che seppure sottotono nel repertorio vocale anglosassone e nel particolare character-design (per il quale comunque subentra in parte il gusto personale) ha tanto da offrire fin dalle prime battute tramite una colonna sonora encomiabile e per mezzo di dettagliati fondali pre-renderizzati che vanno stilisticamente ad alternarsi con i modelli poligonali di protagonisti, nemici ed alleati. Una speranza ricade certamente sul potenziale della trama, ma il suo giudizio, insieme a quello globale, non spetta che alla futura recensione.
L'avventura, esclusiva Game Cube, si appresta ad arrivare nella nostrana Europa sul cadere della primavera 2005, ospitando al suo interno Kalas, il suo Spirito Guardiano (principale motore della trama) e le forme di un mondo le cui lande non radicano sul terreno come le nostre, ma fluttuano nei cieli e danno così vita ad un evocativo ed etereo arcipelago immerso nelle nuvole. E l'atmosfera che ne deriva è il primo dei biglietti da visita di un team come Monolith Software, una firma dello sviluppo da ritenersi indubbiamente prestigiosa. Alcuni dei membri del team, infatti, un tempo lavoravano sotto l'ala protettrice di Squaresoft e dopo aver contribuito alla creazione di capolavori quali Xenogears e Chrono Cross, per i creativi nipponici giunse l'ora dell'autonomia e di una nuova realtà lavorativa. Attualmente sotto produzione Namco, essi portano avanti la saga a volumi Xenosaga (Playstation 2) che dopo "Der Wille Zur Macht" è da poco arrivata nel paese del sol levante al suo secondo episodio: "Jenseits von Gut und Boese".
Per quanto concerne Baten Kaitos invece, la casa di Pac-Man ha fatto, se il termine ci è concesso, da mecenate, avvalendosi dello scrittore free-lance Masato Kato, delle composizioni di Motoi Sakuraba (ormai costante artefice di pentagrammi sopra la norma: si ascoltino i suoi lavori sotto etichetta Tri-Ace) e non ultime in importanza delle intuizioni sceniche dei "Masataka Kurasawa", team già responsabile dei filmati racchiusi in Onimusha ed immersi costantemente nella visione cinematografica orientale.
A supervisionare una simile ed invidiabile collaborazione fra più campi troviamo infine due dei vertici "monolitici": Honne e Nomura, rispettivamente ricoprenti i ruoli di direttore e produttore del progetto.
Un gioco tuttavia non vive di soli nomi, per quanto altisonanti questi possano essere (e nell'occasione rientrano certamente nella casistica), ma necessita sia di idee rinnovanti sia di caratteristiche che interpretino alla meglio il genere di riferimento. Sul fronte pratico non poche sono le sfumature che abbelliscono l'aspetto ludico del titolo analizzato, sfumature che emergono nel sistema di combattimento a base di carte e di conseguenza in ogni altro aspetto da esso derivato. Presenti in un numero a quattro cifre (si parla di un migliaio di Magnus, questo il nome "autoctono") ed ottemperanti gran parte di quelle funzioni tanto difensive quanto offensive generalmente affidate a statici menu, le carte alimentano gli scontri in cui convivono sorprendentemente un'ineluttabile casualità e delle scelte ponderate dal giocatore. Di conseguenza, il ritmo ludico si dividerà basilarmente in due strade, quello pacato dell'esplorazione e della ricerca (tutto secondo canone) e quello oltremodo vivace delle belligeranze e delle combo annesse. Una novità d'interesse è rappresentata peraltro dal modo con cui si guadagnano i soldi e si accrescono le proprie abilità: mentre per il primo termine citato la chiave di volta è insita nella fotografia (giacché immortalando i mostri di turno con un'adeguata Magnus si potranno vendere gli scatti ad appositi negozianti), per il secondo occorrerà recarsi in appositi templi dove, salvando in determinati punti contrassegnati di blu, si verrà ripagati della "devozione" con il potenziamento dei personaggi (alieni pertanto al consuetudinario level up).
Dopo Tales of Symphonia e l'atipico Paper Mario: Il Portale Millenario, entrambi surclassanti in consensi la trasposizione di Skies of Arcadia (la cui gloria, invero, va ricercata su Dreamcast), si può dire che almeno a livello qualitativo (non nella frequenza), la lacuna minacciante il Gamecube ed inerente i giochi di ruolo di matrice giapponese sembri quantomeno colmata, e l'attesa per Baten Kaitos non fa che migliorare la situazione.
Quello su cui attualmente si è sicuri, oltre al chiaro interesse mostrato per il battle system, è senz'altro l'estetica audio-visiva, che seppure sottotono nel repertorio vocale anglosassone e nel particolare character-design (per il quale comunque subentra in parte il gusto personale) ha tanto da offrire fin dalle prime battute tramite una colonna sonora encomiabile e per mezzo di dettagliati fondali pre-renderizzati che vanno stilisticamente ad alternarsi con i modelli poligonali di protagonisti, nemici ed alleati. Una speranza ricade certamente sul potenziale della trama, ma il suo giudizio, insieme a quello globale, non spetta che alla futura recensione.