Dragon Quest VIII: L'Odissea del Re Maledetto
di
Antonio Norfo
L'ottavo Dragon Quest è un validissimo esempio di come si possano e debbano armonizzare i singoli elementi che formano ed amalgamano il videogioco. Sebbene uno di essi prevalga per importanza sugli altri (e cioè la giocabilità), a volte si ha la sensazione che, tra loro, questi elementi costitutivi siano l'uno il nemico dell'altro. Eppure i loro fini ultimi (meravigliare, divertire e coinvolgere) ben si sposano ad una ovvia alleanza.
Ebbene, quella in analisi è decisamente un'esperienza memorabile e tuttotondo, resa tale da una trama velata di ironia e di epos, dalle composizioni musicali di un Kouichi Sugiyama in stato di grazia (il quale ha diretto per l'occasione la Tokyio Metropolitan Symphony Orchestra) e dai character e monster design firmati Akira Toriyama (senz'altro in sintonia con l'atmosfera del titolo e capaci, forse, di addolcire i più moderati detrattori del papà di Arale e Goku).
Ma prima di tutto, questo è un viaggio di fantasia che vanta un mondo paragonabile, per vastità e bellezza, più ad un MMORPG e ad una fiaba che a qualsiasi altra cosa.
Merito senza dubbio del lavoro meticoloso svolto da Level 5, softco resasi celebre con Dark Cloud prima e Dark Chronicle poi e che qui, nell'apice attuale della carriera e sotto egida Square Enix, ha saputo coniugare vecchio e nuovo sia esteticamente (con un uso magistrale del cel shading, il quale ha reso possibile salvaguardare l'eredità visiva della serie), sia dal punto di vista del puro gameplay (ampliando di fatto buona parte dei pregi del canovaccio ludico in questione).
Merito anche dell'immancabile presenza del padre della saga, quel Yuji Horii che nel lontano 1986 dava origine su Family Computer, in compagnia di amici e colleghi, ad una fortunatissima icona del medium, ad un fenomeno di massa per la gioventù giapponese e, al contempo, ad il genere J-Rpg.
table_img_r9center
Dal canto suo il convincente battle system regala scontri sicuramente rapidi ma per i quali sarà bene "leveluppare" con una certa frequenza. Ad ogni nuovo livello sarà poi necessario distribuire laddove si desidera gli Skill Points assegnati; un'azione, a ben vedere, di assoluta rilevanza: ciascun personaggio del party, infatti, si differenzia sia per l'arsenale, sia per la propria indole comportamentale.
Concentrare punti abilità verso una determinata tipologia d'armi si traduce così in bonus d'attacco o abilità tematiche, mentre assecondare le caratteristiche naturali del nostro alter ego e dei suoi comprimari (il coraggio per l'Eroe, il sex appeal per Jessica, il carisma per Angelo e l'umanità per Yangus) dà origine a tecniche speciali (si vedranno, ad esempio, nemici immobilizzati d'amore per Jessica).
Alla voce combattimenti tutto appare concettualmente molto semplice ed efficace, due aggettivi che incarnano, almeno in campo videoludico, altrettante virtù (e semplice è aumentare la propria tensione più volte, in cambio della perdita di un turno per ciascun "Psyche Up", per poi attaccare con maggior efficacia nei turni successivi). Per quanto concerne le lande della serie, va detto di come esse siano sempre state generose, dal NES alla PsOne, quanto ad estensione e segreti allocati. Ma mai nella misura e nella qualità di Journey of the Cursed King, dove girovagare e proseguire sospinti dallo spirito di scoperta regala tanto panorami davanti ai quali restare letteralmente esterrefatti quanto quella soddisfazione data dal video-viaggiare e dalla libertà di esplorazione.
Numerosi sono gli aspetti da analizzare, molte ancora le righe da scrivere su quello che, Final Fantasy XII e Rogue Galaxy permettendo, sarà non solo IL miglior J-Rpg di questa generazione (per Giappone e Nord America già lo è), ma anche una delle massime espressioni del genere dacché questo esiste.
Appuntamento allora alla recensione della versione europea (prevista per aprile), sperando che questa arrivi senza alcuna mutilazione e con una traduzione italiana che, qualora presente, renda giustizia ad un capolavoro dei nostri tempi.
Ebbene, quella in analisi è decisamente un'esperienza memorabile e tuttotondo, resa tale da una trama velata di ironia e di epos, dalle composizioni musicali di un Kouichi Sugiyama in stato di grazia (il quale ha diretto per l'occasione la Tokyio Metropolitan Symphony Orchestra) e dai character e monster design firmati Akira Toriyama (senz'altro in sintonia con l'atmosfera del titolo e capaci, forse, di addolcire i più moderati detrattori del papà di Arale e Goku).
Ma prima di tutto, questo è un viaggio di fantasia che vanta un mondo paragonabile, per vastità e bellezza, più ad un MMORPG e ad una fiaba che a qualsiasi altra cosa.
Merito senza dubbio del lavoro meticoloso svolto da Level 5, softco resasi celebre con Dark Cloud prima e Dark Chronicle poi e che qui, nell'apice attuale della carriera e sotto egida Square Enix, ha saputo coniugare vecchio e nuovo sia esteticamente (con un uso magistrale del cel shading, il quale ha reso possibile salvaguardare l'eredità visiva della serie), sia dal punto di vista del puro gameplay (ampliando di fatto buona parte dei pregi del canovaccio ludico in questione).
Merito anche dell'immancabile presenza del padre della saga, quel Yuji Horii che nel lontano 1986 dava origine su Family Computer, in compagnia di amici e colleghi, ad una fortunatissima icona del medium, ad un fenomeno di massa per la gioventù giapponese e, al contempo, ad il genere J-Rpg.
table_img_r9center
Dal canto suo il convincente battle system regala scontri sicuramente rapidi ma per i quali sarà bene "leveluppare" con una certa frequenza. Ad ogni nuovo livello sarà poi necessario distribuire laddove si desidera gli Skill Points assegnati; un'azione, a ben vedere, di assoluta rilevanza: ciascun personaggio del party, infatti, si differenzia sia per l'arsenale, sia per la propria indole comportamentale.
Concentrare punti abilità verso una determinata tipologia d'armi si traduce così in bonus d'attacco o abilità tematiche, mentre assecondare le caratteristiche naturali del nostro alter ego e dei suoi comprimari (il coraggio per l'Eroe, il sex appeal per Jessica, il carisma per Angelo e l'umanità per Yangus) dà origine a tecniche speciali (si vedranno, ad esempio, nemici immobilizzati d'amore per Jessica).
Alla voce combattimenti tutto appare concettualmente molto semplice ed efficace, due aggettivi che incarnano, almeno in campo videoludico, altrettante virtù (e semplice è aumentare la propria tensione più volte, in cambio della perdita di un turno per ciascun "Psyche Up", per poi attaccare con maggior efficacia nei turni successivi). Per quanto concerne le lande della serie, va detto di come esse siano sempre state generose, dal NES alla PsOne, quanto ad estensione e segreti allocati. Ma mai nella misura e nella qualità di Journey of the Cursed King, dove girovagare e proseguire sospinti dallo spirito di scoperta regala tanto panorami davanti ai quali restare letteralmente esterrefatti quanto quella soddisfazione data dal video-viaggiare e dalla libertà di esplorazione.
Numerosi sono gli aspetti da analizzare, molte ancora le righe da scrivere su quello che, Final Fantasy XII e Rogue Galaxy permettendo, sarà non solo IL miglior J-Rpg di questa generazione (per Giappone e Nord America già lo è), ma anche una delle massime espressioni del genere dacché questo esiste.
Appuntamento allora alla recensione della versione europea (prevista per aprile), sperando che questa arrivi senza alcuna mutilazione e con una traduzione italiana che, qualora presente, renda giustizia ad un capolavoro dei nostri tempi.
Dragon Quest VIII: L'Odissea del Re Maledetto
Dragon Quest VIII: L'Odissea del Re Maledetto
Ebbene, quella in analisi è decisamente un'esperienza memorabile e tuttotondo, resa tale da una trama velata di ironia e di epos, dalle composizioni musicali di un Kouichi Sugiyama in stato di grazia (il quale ha diretto per l'occasione la Tokyio Metropolitan Symphony Orchestra) e dai character e monster design firmati Akira Toriyama (senz'altro in sintonia con l'atmosfera del titolo e capaci, forse, di addolcire i più moderati detrattori del papà di Arale e Goku). Ma prima di tutto, questo è un viaggio di fantasia che vanta un mondo paragonabile, per vastità e bellezza, più ad un MMORPG e ad una fiaba che a qualsiasi altra cosa. Merito senza dubbio del lavoro meticoloso svolto da Level 5, softco resasi celebre con Dark Cloud prima e Dark Chronicle poi e che qui, nell'apice attuale della carriera e sotto egida Square Enix, ha saputo coniugare vecchio e nuovo sia esteticamente (con un uso magistrale del cel shading, il quale ha reso possibile salvaguardare l'eredità visiva della serie), sia dal punto di vista del puro gameplay (ampliando di fatto buona parte dei pregi del canovaccio ludico in questione). Merito anche dell'immancabile presenza del padre della saga, quel Yuji Horii che nel lontano 1986 dava origine su Family Computer, in compagnia di amici e colleghi, ad una fortunatissima icona del medium, ad un fenomeno di massa per la gioventù giapponese e, al contempo, ad il genere J-Rpg.