Duke Nukem Forever

di Giuseppe Schirru
La gestazione più travagliata dell'intera storia videoludica (correva l'anno 1997) che l'ha reso il re incontrastato dei vaporware pare non voglia essere l'unico primato di cui questo Duke Nukem Forever si fregerà. I primi istanti di gioco infatti, instillano nella mente del fruitore l'idea di trovarsi di fronte all'fps più anacronistico dell'ultimo lustro (volendo essere magnanimi), una convinzione che si rafforza sempre più pian piano che si va avanti nell'avventura. Gearbox esegue un salto temporale degno di Ritorno al futuro, ignora il fatto che la categoria degli fps nell'ultima decade si sia rinnovata grazie ai vari Halo, Call of Duty e compagnia sparante, e si riallaccia direttamente a quella corrente di shooter vecchia scuola oramai estinta e rinvenibile nelle cantine dei giocatori di vecchia data o nelle camerette degli amanti del retrogaming. Il tutto corredato da un reparto grafico antiquato in perfetta coerenza temporale col gameplay.






Curioso a dirsi, ma le (a dir poco) pessime animazioni di Duke durante l'interazione con alcuni elementi del fondale, la possibilità di pisciare nei gabinetti, aprire i rubinetti e quant'altro, susciteranno un sentimento di nostalgia nei giocatori di vecchia data. Che poi gioiranno di fronte all'autoreferenzialità e il sarcasmo del Duca quando, terminato il primo livello (di un videogioco con protagonista lo stesso Duke) e con un pad della 360 in mano esordirà dicendo che era una dozzina d'anni che aspettava il gioco. La prima mezz'ora é una standing ovation continua nei confronti del protagonista, da troppo assente dalle scene: il Duca vive in una reggia di lusso, é dannatamente popolare, ricco, acclamato dalla folla, e soprattutto ogni donna sbava per lui. Dopo un bel servizietto generosamente offerto dalle sue fidanzate, autografi a qualche bamboccio, un giro turistico tra muri tappezzati da sue foto, statue con seni al vento e continui rimandi al passato (che i fan non tarderanno a riconoscere), l'ennesima invasione aliena spezzerà quest'idillio di tranquillità e popolarità. Sarà ora di imbracciare le armi.

Comincia così un'azione frenetica condita dalle esternazioni da macho di Duke, fatta di sparatorie senza sosta contro orde di alieni nemici, inframmezzate da qualche sezione puzzle-solving o qualche variazione sul tema come quando il Duca si ritroverà delle dimensioni di un soldatino (con macchina telecomandata generosamente offerta da un bamboccio). Nessuna scena scriptata alla Call of Duty, tanto per dire, immaginatevi continui strafe laterali per schivare i colpi nemici e rispedire al mittente le offese in ambienti solitamente circoscritti, con ostili da ogni dove, come e quando, ognuno fornito del suo set di attacchi personalizzato. Azione di gioco veloce, fiumi di proiettili, ripetute manovre evasive durante i tempi di ricarica dell'arma, schivare le cariche dei nemici, l'utilizzo degli steroidi per massacrare a cazzotti tutto e tutti saranno le operazioni minime per salvare la pellaccia. All'arsenale direttamente ripreso da quanto visto nello scorso millennio si oppone però ora la costrizione a portare un massimo di due armi alla volta, scelta che in parte cozza con la natura distruttiva della serie, dove l'immane potenza di fuoco del giocatore e il ritrovarsi con l'aver svuotato i caricatori di quasi tutti gli strumenti di morte era all'ordine del giorno.






Dalle nostre prime ore di gioco, Duke Nukem Forever appare come il residuo di un'era al tramonto, una concezione ludica protostorica dell'fps, oramai estinta, che una volta riesumata può acquistare valore solamente dalla sua unicità nel mercato attuale. Una bocciatura quindi? Niente di tutto ciò. La sua atipicità, unità alla varietà di situazioni e al machismo arrogante del protagonista faranno la felicità dei fan sfegatati, e non é detto che non riesca a contagiare anche chi stanco dei soliti noti.