Medal of Honor 2010

di Luca Luperini
tira più un FPS
Che gli sparatutto in soggettiva siano l'oro digitale di questa generazione é palesemente sotto gli occhi di tutti. Gli undici milioni di copie vendute da Halo 3 ed i diciannove di Modern Warfare 2, ne sono la più completa manifestazione.
Proprio guardando al successo planetario di Infinity Ward, ai vertici di EA dev'esser tornata in mente l'era in cui Medal of Honor primeggiava tra gli shooter a tema seconda guerra mondiale, con un personaggio del calibro di Steven Spielberg a curarne la direzione artistica. Un flashback che dev'essere risultato particolarmente doloroso pensando all'involuzione del brand made in EA, rispetto all'esplosione del fenomeno Call of Duty, giunto a massima espressione con la modernizzazione avvenuta nel quarto capitolo, dopo tre episodi dedicati proprio al secondo conflitto mondiale.
Facendo due più due, il publisher statunitense ha pensato bene di provare a riprendersi la propria fetta di mercato, intraprendendo la stessa via che ha generato Modern Warfare. E' così che nasce il reboot di Medal of Honor: con la speranza che la contestualizzazione moderna non solo risollevi la serie dall'oblio, ma riesca oltretutto a mettere i bastoni tra le ruote di Activision ed al suo venturo Call of Duty Black Ops.




Com'é vero che il mercato sia particolarmente ricettivo verso i fps, é altrettanto assodato che la saturazione dell'offerta ha già mietuto vittime eccellenti, incapaci di competere con l'egemonia moderwarferiana, di cui il frangente multiplayer é massima espressione. Ed é per questa ragione che, tanto per andare sul sicuro, EA ha deciso di dedicare particolare attenzione proprio al comparto online di Medal of Honor, lasciando lo sviluppo della campagna ad un team interno.
Per rendere competitiva la sezione multigiocatore é stato quindi chiamata in causa una delle poche software house che si é già dimostrata in grado di rivaleggiare con Modern Warfare, attraverso lo sviluppo dei due Battlefield Bad Company. Stiamo ovviamente parlando degli svedesi di DICE, del cui lavoro abbiamo avuto già un saggio nella beta per PC, PS3 e Xbox 360, aperta fino al 17 luglio a tutti coloro che hanno prenotato il gioco.

tra il DICE e il fare
La beta che abbiamo avuto occasione di provare si é dimostrata compatta ma esaustiva. DICE ci offre in pasto due modalità da affrontare in altrettanti set bellici, entrambi ambientati in Afganistan, teatro ufficiale anche della campagna single player.
Qualunque sia la vostra preferenza di gioco, sin dalla sala d'attesa sarete chiamati a scegliere tra tre differenti classi: assaltatore, spec ops e cecchino.
Tutte e tre le alternative sono caratterizzate da un set di armi ed equipaggiamenti consoni al ruolo selezionato. Inoltre, Il menu pre partita evidenzia anche la possibilità di personalizzare i singoli fucili, tramite l'acquisizione di accessori legati all'esperienza che maturerete nel corso delle battaglie.



La prima modalità disponibile é Team Assault: niente di meno che un deadmatch a squadre in cui le due fazioni - resistenza afgana e gli immancabili marines statunitensi - si affrontano fino a raggiungere un punteggio prestabilito.
Nel conteggio dei punti incideranno sia le uccisioni che gli assist. Una meccanica che ricalca volutamente quanto già mostrato in Modern Warfare, con le similitudini che aumentano constatando come le serie ininterrotte di kill portino a poter usufruire di bonus come UAV e bombardamenti aerei.
La mappa che DICE ha reso disponibile per testare questa modalità é Kabul City Ruins, location che, come é facile evincere dal nome, ci catapulta nella capitale afgana martoriata dai bombardamenti statunitensi.
Le dimensioni dell'area di gioco riprendono quelle delle mappe del primo Modern Warfare - sensibilmente meno spaziose rispetto a quanto visto nel sequel - e si articolano tra vicoli, aree aperte ed edifici su due livelli. Nel complesso i 24 giocatori complessivi consentiti, si muovono con scioltezza, senza mai soffrire tempi morti -complice anche il respawn immediato- e, soprattuto, senza mai imbattersi in scorci soggetti al camperaggio estremo.

Il pericolo camping é invece, giocoforza, presente nel set di partite Mission, dove la vena arcade “alla Modern Warfare”, lascia spazio ai tatticismi tipici della serie Battefield. In particolar modo, Mission ricorda sensibilmente la modalità Rush che gli appassionati di Bad Company 2 conosceranno a menadito.
In parole povere, una squadra ha come obbiettivo quello di avanzare piazzando delle cariche esplosive su obiettivi specifici, mentre l'altra dovrà giocare in difesa, cercando di mantenere la posizione per il maggior tempo possibile.
Anche la mappa si adatta alla perfezione alla filosofia della modalità, mostrandosi decisamente più ariosa e dallo sviluppo lineare. Con Helmand Valley lasciamo infatti le ambientazioni prettamente urbane, per spostarci in pieno deserto, dove le ampie distese sabbiose vengono intervallate solo da qualche costruzione di fortuna. L'aumento del metraggio ha consentito agli sviluppatori di inserire anche un carro corazzato con cui la squadra degli attaccanti potrà aiutarsi per fare meglio breccia nelle difese nemiche. L'introduzione dei mezzi é però volutamente ridotta ai minimi termini, visto che il carro in questione non respownerà una volta distrutto, gravando così solo in minima parte sulla giocabilità.



una poltrona per tre
Proprio in termini di gameplay, Medal of Honor si lascia apprezzare per la freschezza e l'immediatezza con cui si lascia giocare. Anche su questo frangente il confronto con Modern Warfare é però imprescindibile.
La mappatura dei tasti é praticamente identica a quella del titolo Activision, con tanto di sprint e coltellata assegnati ai due tasti sottostanti agli stick analogici.
A rimanere intatta dalla serie Battlefield, quasi come fosse un organo vestigiale, é invece l'impossibilità di sdraiarsi completamente, rendendo così più complicato -ma non meno efficace- il ruolo dello sniper.

Perché in Medal of Honor il bilanciamento delle classi -tratto distintivo di tutte le produzioni DICE- sembra rivestire un punto focale. Proprio attorno a questa inclinazione potrebbero girare le fortune della produzione EA, soprattutto alla luce delle difficoltà manifestate da Infinity Ward nel mantenere bilanciato il secondo Modern Warfare.
E' anche apprezzabile il lavoro svolto dagli sviluppatori per far “sentire” maggiormente il peso delle armi, grazie ad un feedback più marcato sia dal punto di vista del rinculo che da quello prettamente audio. Uno sforzo con la quale gli sviluppatori svedesi si sono avvicinati sensibilmente all'approccio con cui Infinity Ward ha costruito il successo dei Call of Duty.
Purtroppo però, un forte senso di déjà vu pervade pericolosamente tutto il gioco, lasciando spesso e volentieri il giocatore stranito da quello che sembra un Battlefield vestito da Modern Warfare.

E' proprio dal punto di vista prettamente estetico che l'analogia tra i due titoli raggiunge il culmine. Medal of Honor, é inutile negarlo, assomiglia sfacciatamente a Battlefield Bad Company 2. Vuoi perché lo studio di sviluppo é lo stesso, vuoi per l'uso del medesimo motore grafico -il Frostbite, mentre la campagna verrà mossa dal sempre verde Unreal Engine-.
Le somiglianze possono perfino risultare fastidiose all'occhio di chi già possiede l'ultimo capitolo di Battlefield. Oltretutto, ad aggravare la situazione, ci pensa la percezione che il comparto grafico sia pure stato decurtato di alcune delle features caratteristiche proprio di Bad Company 2.

Prima su tutte la distruttibilità dell'ambiente circostante, che in Medal of Honor é stata ridotta ai minimi termini. Niente più palazzi accartocciati su se stessi, quindi. Al massimo ora dovrete accontentarvi di far saltare qualche barricata o qualche altro elemento architettonico accessorio. Una scelta perseguita forse per mantenere una certa coerenza con l'appeal della campagna in singolo, dove l'elemento distruttivo dovrebbe essere quantomeno marginale. Al contrario, é anche ipotizzabile che DICE abbia eliminato questo fattore per rendere meno palese la somiglianza proprio tra Bad Company 2 e Medal of Honor. Così come é facile notare l'intenzione di migliorare le textures andanti a comporre l'arma presente nell'hub di gioco, la quale appare meno “sporca” rispetto al contesto in cui ci muoviamo. Certo, stiamo pur sempre parlando di una versione beta -per definizione provvisoria- ma se alcune sbavature, come la compenetrazione poligonale ed i frequenti crash causati dagli script post mortem, saranno senz'altro limate da qui a settembre, ci sembra difficile che il look complessivo della versione finale di distacchi notevolmente da quanto abbiamo visto.