Operation Flashpoint: Red River
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Non chiamatelo FPS! Non solo, perlomeno, perché Operation Flashpoint, fin dal suo primo capitolo Cold War Crisis, targato Bohemia Interactive, é molto, molto di più. All'epoca, recensendo proprio il capostipite per un'altra testata, mi venne spontaneo scrivere che si trattava dell'esperienza videoludica che maggiormente si avvicinava alla realtà vissuta da un fante su un moderno campo di battaglia. Appresi senza sorprendermi troppo, poche settimane dopo, che il motore del gioco, implementato di alcune feature aggiuntive, era stato trasformato nel Virtual Battlespace 1 (fatevi un giro su Wiki se volete approfondire la cosa), vero e proprio simulatore di combattimento utilizzato da diversi eserciti nazionali per addestrare i reparti di fanteria leggerae meccanizzata.
Provate a pensare cosa succederebbe se, invece di un modello di gameplay come quellod i OFP, avessero deciso di utilizzare un approccio rambistico alla COD. Facile pensare che parecchiereclute si sarebbero convinte di poter risolvere i loro problemi, se ferite, semplicemente riparandosi dietro qualcosa e attendere che la visione rossa scompaia. In un vero scontro a fuoco, ahimé, non funziona così. Sul moderno campo di battaglia, i colpi scambiati tra le fazioni coinvolte sono sorpredentemente pochi, se li paragoniamo ai diluvi di fuoco cui Hollywood e i giochi d'azione da Medal of Honor in poi ci hanno abituato. Una bassa percentuale di essi, poi, specialmente se si parla di armi automatiche (fucili d'assalto, mitragliatrici leggere e così via), va realmente a segno. Ma un proiettile, un solo dannato proiettile calibro .223 Remington, o 5,56 NATO se preferite, é in grado di produrre dannicosì devastanti sul corpo di un essere umano da metterlo fuori combattimento per mesi, se non per sempre.
Prima regola di un fante, quindi, é tenersi al coperto, evitando di farsi colpire. Se questo accade, infatti, la letalità delle armi moderne rende estremamente probabile il suo rimpatrio all'interno di una cassa di legno avvolta nella bandiera nazionale. Operation Flashpoint, ormai passato saldamente sotto l'egida Codemasters, mantiene fede a questo principio, imponendo una condotta di gioco che, senza per questo rinunciare alla spettacolarità richiesta ad un prodotto concepito per intrattenere e divertire un'utenza giovane, richiede un approccio decisamente realistico.
Il che, non é necessariamente un male, anzi. Di giochi in cui si affronta livello dopo livello sgranando raffiche a ripetizione, cambiando arma di continuo e falciando legioni di nemici c'é solo l'imbarazzo della scelta, là fuori. A volte, però, a noi vecchi veterani di mille battaglie virtuali, stanchi dell'ennesimo massacro scriptato, viene voglia di qualcosa di diverso. E' quello il momento in cui, guardandoci intorno alla ricerca di un'impostazione più tattica, realistica, meno guidata su binari magari ben nascosti ma sempre percepibili, immancabilmente ci rivolgiamo all'unico franchise che, ormai da anni, ci offre una periodica e aggiornata rivisitazione di un campo di battaglia simile a quelli reali, dove la morte non é sono un fastidioso incidente tra un salvataggio e l'altro, ma una realtà presente, con la quale fare i conti, da evitare a tutti i costi. Primo dovere di un soldato é restare in vita per combattere un altro giorno. Cosa che, giocando ad Operation Flashpoint Red River, potrebbbe rivelarsi un compito decisamente più difficile di quanto crediate.
Rosso. Il colore del sangue, del sole al tramonto. Caratterizza fin dall'impostazione grafica, dai giochi di luce, lens flare e texture, l'intera campagna. Il fiume rosso del titolo si trova in Tajikistan, ex repubblica sovietica a maggioranza musulmana, confinante con il turbolento Aghantistan e a forte rischio di fondamentalismo. L'infiltrazione in territorio tajiko di gruppi integralisti costringe anche gli americani a sconfinare, per impedire ai terroristi, pronti a colpire anche con attentati in Occidente, di impadronirsi ed insidiare punti nevralgici del Paese, tra cui un'importante diga.
La grana, come é facile immaginare, tocca ad un reparto di marines che, inseditatosi a Camp Copperhead sul territorio tajiko, viene immediatamente fatto oggetto di attenzioni nemiche, sotto forma di proiettili di mortaio lanciati dalle alture circostanti. La squadra guidata dal sergente Damien Knox, afroamericano di Detroit con una loquacità cinematografica che contribuisce fin dalle prime battute ad una forte caratterizzazione del personaggio, viene incaricata di neutralizzare gli attaccanti. E' solo l'inizio di una campagna lunga una decina di ore intensissime (qualcuna di più se sceglierete un livello di difficoltà elevato) che vi vedrà coinvolti in un conflitto locale sul punto di trasformarsi, a causa dell'intervento di forze cinesi sul campo, in qualcosa di molto più ampio e decisamente più pericoloso per gli equilibri mondiali stessi.
Provate a pensare cosa succederebbe se, invece di un modello di gameplay come quellod i OFP, avessero deciso di utilizzare un approccio rambistico alla COD. Facile pensare che parecchiereclute si sarebbero convinte di poter risolvere i loro problemi, se ferite, semplicemente riparandosi dietro qualcosa e attendere che la visione rossa scompaia. In un vero scontro a fuoco, ahimé, non funziona così. Sul moderno campo di battaglia, i colpi scambiati tra le fazioni coinvolte sono sorpredentemente pochi, se li paragoniamo ai diluvi di fuoco cui Hollywood e i giochi d'azione da Medal of Honor in poi ci hanno abituato. Una bassa percentuale di essi, poi, specialmente se si parla di armi automatiche (fucili d'assalto, mitragliatrici leggere e così via), va realmente a segno. Ma un proiettile, un solo dannato proiettile calibro .223 Remington, o 5,56 NATO se preferite, é in grado di produrre dannicosì devastanti sul corpo di un essere umano da metterlo fuori combattimento per mesi, se non per sempre.
Prima regola di un fante, quindi, é tenersi al coperto, evitando di farsi colpire. Se questo accade, infatti, la letalità delle armi moderne rende estremamente probabile il suo rimpatrio all'interno di una cassa di legno avvolta nella bandiera nazionale. Operation Flashpoint, ormai passato saldamente sotto l'egida Codemasters, mantiene fede a questo principio, imponendo una condotta di gioco che, senza per questo rinunciare alla spettacolarità richiesta ad un prodotto concepito per intrattenere e divertire un'utenza giovane, richiede un approccio decisamente realistico.
Il che, non é necessariamente un male, anzi. Di giochi in cui si affronta livello dopo livello sgranando raffiche a ripetizione, cambiando arma di continuo e falciando legioni di nemici c'é solo l'imbarazzo della scelta, là fuori. A volte, però, a noi vecchi veterani di mille battaglie virtuali, stanchi dell'ennesimo massacro scriptato, viene voglia di qualcosa di diverso. E' quello il momento in cui, guardandoci intorno alla ricerca di un'impostazione più tattica, realistica, meno guidata su binari magari ben nascosti ma sempre percepibili, immancabilmente ci rivolgiamo all'unico franchise che, ormai da anni, ci offre una periodica e aggiornata rivisitazione di un campo di battaglia simile a quelli reali, dove la morte non é sono un fastidioso incidente tra un salvataggio e l'altro, ma una realtà presente, con la quale fare i conti, da evitare a tutti i costi. Primo dovere di un soldato é restare in vita per combattere un altro giorno. Cosa che, giocando ad Operation Flashpoint Red River, potrebbbe rivelarsi un compito decisamente più difficile di quanto crediate.
Rosso. Il colore del sangue, del sole al tramonto. Caratterizza fin dall'impostazione grafica, dai giochi di luce, lens flare e texture, l'intera campagna. Il fiume rosso del titolo si trova in Tajikistan, ex repubblica sovietica a maggioranza musulmana, confinante con il turbolento Aghantistan e a forte rischio di fondamentalismo. L'infiltrazione in territorio tajiko di gruppi integralisti costringe anche gli americani a sconfinare, per impedire ai terroristi, pronti a colpire anche con attentati in Occidente, di impadronirsi ed insidiare punti nevralgici del Paese, tra cui un'importante diga.
La grana, come é facile immaginare, tocca ad un reparto di marines che, inseditatosi a Camp Copperhead sul territorio tajiko, viene immediatamente fatto oggetto di attenzioni nemiche, sotto forma di proiettili di mortaio lanciati dalle alture circostanti. La squadra guidata dal sergente Damien Knox, afroamericano di Detroit con una loquacità cinematografica che contribuisce fin dalle prime battute ad una forte caratterizzazione del personaggio, viene incaricata di neutralizzare gli attaccanti. E' solo l'inizio di una campagna lunga una decina di ore intensissime (qualcuna di più se sceglierete un livello di difficoltà elevato) che vi vedrà coinvolti in un conflitto locale sul punto di trasformarsi, a causa dell'intervento di forze cinesi sul campo, in qualcosa di molto più ampio e decisamente più pericoloso per gli equilibri mondiali stessi.