Prey (2006)
di
La storia dello sviluppo di "Prey" è singolare ed interessante. L'idea che sta alla base del titolo è venuta ai ragazzi di 3D Realms la bellezza di dieci anni fa, ma venne presto accantonata in favore di altri progetti. Tutto è rimasto congelato per anni, almeno fino al 2004, quando Human Head ha deciso di continuare lo sviluppo di "Prey" partendo da dove 3D Realms lo aveva interrotto. Da allora i continui comunicati stampa, gli innumerevoli screenshot e i numerosi trailer rilasciati ci hanno permesso di arrivare preparati a questa prova sul campo che Take2 Italia ci ha gentilmente concesso direttamente nei suoi uffici.
La trama del gioco non è molto originale; rapito dagli alieni in compagnia del nonno e della fidanzata, Tommy, un nativo americano che di professione fa il meccanico, dovrà esplorare la particolarissima "astronave" in cui si trova per portare a casa la pellaccia e (eventualmente) salvare l'umanità. Nonostante "Prey" si presenti come uno sparatutto 3D piuttosto convenzionale, i primi dieci minuti di gioco sono davvero entusiasmanti. "La Sfera", così si chiama l'astronave aliena, è, infatti, governata da bislacche leggi fisiche che constringono il giocatore a pensare in un modo nuovo, al quale non è minimamente abituato. Ogni locazione è collegata alle altre tramite dei portali che, aprendosi all'improvviso ed in posti impensabili, generano continuamente situazioni difficili da gestire ma decisamente entusiasmanti da affrontare.
Uno dei punti di forza di questo "Prey" è sicuramente l'inedita ed intelligente gestione delle leggi fisiche. Ogni ambiente può essere, infatti, ribaltato agendo su particolari interruttori che, modificando il verso della forza di gravità, rendono praticabili tutte e quattro le pareti. Come se non bastasse, alla Human Head hanno pensato bene di implementare delle speciali passerelle che, pur mantenendo inalterata la gravità, ci permettono di cambiare prospettiva camminando sui muri. Queste due trovate garantiscono una notevole varietà di situazioni, una generale complessità degli enigmi e una buona dose di tatticismo negli scontri a fuoco.
Per approfondire ulteriormente il gameplay, alla Human Head hanno deciso di sfruttare le origini indiane del protagonista affiancando al piano sensibile un interessante piano spirituale nel quale Tommy può proiettare la sua anima. Sotto forma di spirito il simpatico indiano potrà raggiungere locazioni inaccessibili al suo corpo, risolvere enigmi impossibili da risolvere in altro modo e sbarazzarsi di eventuali nemici grazie a speciali dardi. Ogni azione operata nel piano spirituale costerà a Tommy parte della sua energia psichica, che dovrà costantemente rifornire assorbendo le anime dei nemici che riesce ad accoppare. Questa particolare facoltà tornerà sicuramente utile in caso di morte; se in un qualsiasi scontro a fuoco dovesse essere l'impavido Cherokee ad avere la peggio, il suo spirito non abbandonerà completamente il corpo, verrà, invece, proiettato in una specie di limbo dove, colpendo dei bersagli mobili, potrà riacquistare energia e ricongiungersi al corpo.
L'arsenale che gli sviluppatori hanno messo a disposizione del nostro eroe è composto principalmente da armi aliene di natura biomeccanica, molto belle esteticamente ma piuttosto convenzionali dal punto di vista del concept; unica eccezione (almeno tra le armi che abbiamo avuto modo di utilizzare durante la prova) un interessante cannone polifunzionale che, caricato tramite appositi distributori di energia, permette di utilizzare attacchi di fuoco, ghiaccio ed elettricità.
Sotto il profilo tecnico, il titolo Human Head si difende più che bene. Com'è noto ai più informati, il motore grafico utilizzato dagli sviluppatori è quello programmato da id Software per il suo "Doom3"; ebbene, vi farà sicuramente piacere il sapere che tutte le problematiche collegate a questo particolare engine sono state brillantemente risolte in "Prey". Tutte le locazioni sono, infatti, caratterizzate da affascinanti strutture biomeccaniche che affiancano a luccicanti porte metalliche strani sfiatatoi dai quali fuoriesce in continuazione materiale organico. Le atmosfere sono inquietanti e ricercate e il continuo cambio di prospettiva (funzionale al gameplay) ci darà la sensazione di esplorare ambienti nuovi anche quando il riciclo di alcune strutture è evidente.
Proprio i continui cambi di prospettiva tramutano l'unico "difetto" che ci sentivamo di imputare a "Prey" in un pregio. Il titolo Human Head è, infatti, piuttosto lineare; ogni livello inizia dal punto A e finisce inevitabilmente nel punto B, ma i portali e i continui cambi di gravità ci trasmetteranno spesso una sensazione di smarrimento. Se questo avviene con una sola via percorribile, immaginate che confusione avrebbero creato quattro o cinque percorsi differenti!
La trama del gioco non è molto originale; rapito dagli alieni in compagnia del nonno e della fidanzata, Tommy, un nativo americano che di professione fa il meccanico, dovrà esplorare la particolarissima "astronave" in cui si trova per portare a casa la pellaccia e (eventualmente) salvare l'umanità. Nonostante "Prey" si presenti come uno sparatutto 3D piuttosto convenzionale, i primi dieci minuti di gioco sono davvero entusiasmanti. "La Sfera", così si chiama l'astronave aliena, è, infatti, governata da bislacche leggi fisiche che constringono il giocatore a pensare in un modo nuovo, al quale non è minimamente abituato. Ogni locazione è collegata alle altre tramite dei portali che, aprendosi all'improvviso ed in posti impensabili, generano continuamente situazioni difficili da gestire ma decisamente entusiasmanti da affrontare.
Uno dei punti di forza di questo "Prey" è sicuramente l'inedita ed intelligente gestione delle leggi fisiche. Ogni ambiente può essere, infatti, ribaltato agendo su particolari interruttori che, modificando il verso della forza di gravità, rendono praticabili tutte e quattro le pareti. Come se non bastasse, alla Human Head hanno pensato bene di implementare delle speciali passerelle che, pur mantenendo inalterata la gravità, ci permettono di cambiare prospettiva camminando sui muri. Queste due trovate garantiscono una notevole varietà di situazioni, una generale complessità degli enigmi e una buona dose di tatticismo negli scontri a fuoco.
Per approfondire ulteriormente il gameplay, alla Human Head hanno deciso di sfruttare le origini indiane del protagonista affiancando al piano sensibile un interessante piano spirituale nel quale Tommy può proiettare la sua anima. Sotto forma di spirito il simpatico indiano potrà raggiungere locazioni inaccessibili al suo corpo, risolvere enigmi impossibili da risolvere in altro modo e sbarazzarsi di eventuali nemici grazie a speciali dardi. Ogni azione operata nel piano spirituale costerà a Tommy parte della sua energia psichica, che dovrà costantemente rifornire assorbendo le anime dei nemici che riesce ad accoppare. Questa particolare facoltà tornerà sicuramente utile in caso di morte; se in un qualsiasi scontro a fuoco dovesse essere l'impavido Cherokee ad avere la peggio, il suo spirito non abbandonerà completamente il corpo, verrà, invece, proiettato in una specie di limbo dove, colpendo dei bersagli mobili, potrà riacquistare energia e ricongiungersi al corpo.
L'arsenale che gli sviluppatori hanno messo a disposizione del nostro eroe è composto principalmente da armi aliene di natura biomeccanica, molto belle esteticamente ma piuttosto convenzionali dal punto di vista del concept; unica eccezione (almeno tra le armi che abbiamo avuto modo di utilizzare durante la prova) un interessante cannone polifunzionale che, caricato tramite appositi distributori di energia, permette di utilizzare attacchi di fuoco, ghiaccio ed elettricità.
Sotto il profilo tecnico, il titolo Human Head si difende più che bene. Com'è noto ai più informati, il motore grafico utilizzato dagli sviluppatori è quello programmato da id Software per il suo "Doom3"; ebbene, vi farà sicuramente piacere il sapere che tutte le problematiche collegate a questo particolare engine sono state brillantemente risolte in "Prey". Tutte le locazioni sono, infatti, caratterizzate da affascinanti strutture biomeccaniche che affiancano a luccicanti porte metalliche strani sfiatatoi dai quali fuoriesce in continuazione materiale organico. Le atmosfere sono inquietanti e ricercate e il continuo cambio di prospettiva (funzionale al gameplay) ci darà la sensazione di esplorare ambienti nuovi anche quando il riciclo di alcune strutture è evidente.
Proprio i continui cambi di prospettiva tramutano l'unico "difetto" che ci sentivamo di imputare a "Prey" in un pregio. Il titolo Human Head è, infatti, piuttosto lineare; ogni livello inizia dal punto A e finisce inevitabilmente nel punto B, ma i portali e i continui cambi di gravità ci trasmetteranno spesso una sensazione di smarrimento. Se questo avviene con una sola via percorribile, immaginate che confusione avrebbero creato quattro o cinque percorsi differenti!