We love Katamari

di Antonio Norfo
Difficilmente i nomi delle cose, e non solo, riescono a conferire a quest'ultime dei significati effettivamente chiarificatori.
Le parole "videogioco" o "videogame" ne sono un esempio più che lampante. Eppure non dovrebbe essere il nome di un qualcosa ad ottenere attenzione ed approfondimenti culturali (come nel nostro caso), quanto semmai l'essenza, i suoi fini ed i messaggi che se ne enucleano.
Nel corso della pluridecennale storia che può vantare (lunga è ancora la strada, beninteso), il videogioco è invero cresciuto (si sono espansi i confini ed i contenuti, al pari delle concezioni che oggigiorno se ne hanno). Esso sfiora ora infinite vie, procacciando talvolta nei suoi fruitori le più svariate delle emozioni (ecco perché molti convengono che il polivalente verbo inglese "play" meglio si addica a questa attività di qualsiasi altra designazione in qualsiasi altra lingua).


Talune sue manifestazioni sembrano ciononostante allontanarsi dall'identità più pura del medium, perdendosi nel troppo ricercare contatti con tutt'altre forme d'intrattenimento.
Altre evoluzioni - al contrario - tendono a concretizzare sempre più una sorta di ritorno alle origini, ossia quando i fronzoli erano un'importante cornice ma mai il quadro finale.
Namco, con il titolo qui in analisi, ci dimostra come il divertimento più genuino non cesserà mai di esistere o di essere richiesto; EA, in veste di co-publishing, è altrettanto pronta dal canto suo a far approdare in terre europee il secondo esponente della serie in questione: Katamari Damacy.
Perso il fantastico capitolo iniziale (giunto "solamente" in Giappone e Nord America), anche gli abitanti del vecchio continente potranno in definitiva apprezzare la seconda creatura di Keita Takahashi, game director a cui, per il bene comune e visto il promettente esordio, non si può che auspicare un futuro creativo altrettanto valevole.

Che sia nata una stella?
I due giochi sviluppati dal team da lui diretto, del resto, si dimostrano forieri di tante piccole grandi lezioni, così basilari ed al contempo così spesso dimenticate da troppi addetti ai lavori.
Forza motrice è in primo luogo l'originalità: ricercata, studiata ed infine ottenuta senza troppo far patire, in sede di sistema di controllo e formula ludica, i giocatori (i quali, altrimenti, ad un concept sofisticato tendono a preferire la sicurezza delle espressioni più canoniche).
Quest'ultimi, avvalendosi di entrambe le levette analogiche del joypad Playstation 2, muoveranno un piccolo tesserino (il Principe) e lo sferoide al suo seguito. Sferoide che a sua volta si tramuta nel mezzo con cui il gameplay si esprime, laddove rotolandolo in continuazione esso incrementerà pian piano la propria mole ed in maniera complementare il proprio diametro.
Per far questo occorrerà entrare in contatto con quanto gli ambienti di gioco sono colmi, dai più piccoli oggetti alle più grandi forme di vita della natura. Ovviamente il tutto procede per gradi, cioè con il crescere del katamari-sferoide, giacché sarebbe impossibile per una piccola pallina di una manciata di millimetri poter da subito calamitare verso di sé una montagna. Ma quando questo passo sarà fatto, ecco che ci troveremo dinanzi al più bel salto interattivo fra micro e macromando (iniziare dal giardino di una casa e finire con l'agglomerare il villaggio in cui l'abitazione si trovava ha sempre il suo effetto-meraviglia).


Procedendo dal particolare all'universale (come direbbe un provetto filosofo), dal meccanico all'organico (come suggerirebbe un biologo) e soprattutto, di livello in livello e divertendosi (come vorrebbe un videogiocatore), ecco che dapprima prenderemo batterie, pastelli e matite, in seguito raggiungeremo (letteralmente) le nuvole e dimensioni ultracolossali (saranno incluse al novero le caricature delle città terrestri).
Inutile negare a questo punto l'importanza che ricoprono le aree di gioco stesse che in virtù della varietà che apportano sanno sempre far mantenere il sorriso sulle labbra, senza alcun calo d'interesse (da zoo ad asili; da parchi cittadini a luoghi sommersi; da campeggi a silenziose, liriche locazioni notturne; da fiere cittadine popolate e vocianti ad autodromi; dal più piccolo dei posti al più grande immaginabile). Obbiettivo finale preposto: salvare l'ordine cosmico; obbiettivi strumentali: raggiungere determinate dimensioni rispettando il più delle volte il tempo limite (ambedue determinanti che subiranno più d'una variante nell'arco dell'avventura).

Posto tutto questo (e facendo accenno ad una telecamera virtuale sì perfettibile ma mai frustrante) c'è solo da attendere con ansia l'uscita della versione europea (e con essa della nostra recensione), la quale, vista l'assenza del predecessore sul mercato, potrà stupire maggiormente di quanto non avrebbe fatto altrimenti (come dire: nella sfortuna una fortuna). Un'attesa valevole anche solo per meglio comprendere la folle trama che fa da collante tra una "missione" e l'altra, poiché, al pari della solare e fiabesca veste estetica, la narrazione si dimostra ancora una volta all'insegna della comicità e bizzarria (pure nei momenti per così dire tragici del racconto, ma che, per forza di cose, risultano votati ad un gaudio di fondo).

Sul piano sonoro il tutto è nuovamente da encomiare (è presente un'ampia gamma di generi interpretati e le composizioni si apprestano ad essere fischiettate per mesi e mesi), così come graficamente rimane confermata la prevalenza della scelta stilistica "fiabesco-spensierata" e degli accesi accostamenti cromatici, rigorosamente contrapposti concettualmente alla tendenza odierna che vede spesso premiare ai botteghini ciò che adulto in fin dei conti non è (fra i titoli che indossano e quelli che effettivamente meritano una simile etichetta c'è un evidente contrasto).
In fin dei conti "We Love Katamari" e relativo prequel non sono consigliabili ad una specifica categoria di utenti, ma a tutte quante le categorie esistenti, sempre che di categorie sia giusto parlare.
Perché i migliori videogiochi dovrebbero essere per tutti e così almeno sono risultati tutti i capolavori unanimemente riconosciuti da critica ed utenza.