La violenza nei videogiochi secondo Ken Levine
Bioshock: Infinite ha ricevuto giudizi di vario genere - noi di GameSurf ci siamo naturalmente espressi nella nostra Recensione - ma più o meno tutti non hanno potuto negare che sia un gioco dall'elevato tasso di violanza. Perché? Alla domanda risponde, con un ragionamento a più ampio respiro, Ken Levine, all'epoca leader di Irrational Games e dunque "papà" del gioco.
Tanto per cominciare, Ken fa il "mea culpa" confessando che quello era il tipo di gioco che sapeva fare: "Non avrei saputo come fare un gioco come Mario - rivela ai microfoni di NPR - Non avrei saputo come prendere questo tipo di storia e trasformarla in un gioco in cui si salta sui blocchi."
Levine ha continuato spiegando che la violenza nei videogiochi è relativamente più semplice da realizzare, ma anche che introdurla è una sorta di risposta alle esigenze del emrcato: "Penso che la reazione alla violenza sia più che altro un'espressione della gente nel convincersi che l'industria abbia la possibilità di esprimersi in altri modi."
Insomma: secondo Levine, il mercato realizza giochi violenti perché è convinto che la maggior parte del pubblico desideri giochi violenti, mentre invece c'è una larga fetta di pubblico che desidera altri tipi di intrattenimento. A questo proposito prende ad esempio il primo Bioshock, il quale nel 2007 ha stravolto le aspettative del mercato. Fortunatamente, però, le cose stanno cambiando:
"C'era una tendenza da parte dei publisher a sottostimare l'utenza - afferma Ken - ma questa non ha niente di diverso da qualsiasi altra utenza. Ci sono tantissimi film pensati per persone che non sono interessate alla fiolosofia politica e ce ne sono tantissimi destinati a questi."
La soluzione al problema può essere trovata, secondo Levine, nella distrubuzione digitale, dove non si è "asserviti" alle leggi di mercato delle grandi cifre e si può puntare a utenze più specifiche: "Puoi veramente cercare di avere un'intrazione uno-a-uno con una base di fan più piccola e dedicata, e dare loro quello che vogliono - conclude - Realizziamo di poter sperimentare di più perché non dobbiamo soddisfare un comun denominatore così ampio."