Videogiochi tra i banchi di scuola

di Tommaso Alisonno

Qualcuno di voi probabilmente si sarà trovato a dover difendere il proprio passatempo preferito dal giudizio di censura dei propri genitori, magari cercando disperatamente di dimostrare che quell’assassino vestito di bianco si muove in una coerente ricostruzione storica. Altri di voi hanno preteso che accudire un pulcino o un cagnolino virtuale fosse una valida prova per definire e accrescere la responsabilità. Altri ancora hanno protestato che le ore passate sui MMORPG fossero un eccellente metodo per interfacciarsi con gli altri e stringere nuove amicizie. Qualcuno é arrivato ad asserire che gli FPS in MultiPlayer stimolino la fiducia, la collaborazione e il lavoro di squadra.


Abbiamo una notizia per voi: avevate ragione (chi l’avrebbe mai detto, eh?). A rendersi conto di come lo strumento “videogioco”, anche non esplicitamente realizzato allo scopo, abbia dei contenuti didattici molto importanti sono state per prime le scuole Americane, Inglesi e Giapponesi, e in tempi più recenti, sebbene non “così” recenti come si potrebbe pensare, anche in Italia questa cognizione ha preso piede. Manuela Cantoia, docente di Psicologia alla Cattolica di Milano, ci racconta di questa introduzione così poco avvertita dal grande pubblico: “Sono entrati nelle nostre scuole in punta di piedi due anni fa, tutto grazie a un accordo fra il ministero dell'Istruzione e l'associazione italiana degli editori di videogame, la Aesvi. Servono per far conoscere la tecnologia agli studenti e servono come strumento di indagine. World of Warcraft per esempio, il gioco di ruolo di massa online frequentato da oltre dieci milioni di utenti, al liceo Marconi di Milano lo usano come campo di indagine sulle relazioni sociali. Ma é solo uno dei tanti casi.”


La cosa più interessante é che tra le scelte di docenti ed insegnanti non ci sono solo videogame didattici “in senso stretto”, ossia prodotti studiati appositamente per l’insegnamento, ma anche e sempre più titoli di largo uso e consumo, come WoW citato dalla Cantoia: Assassin’s Creed o Civilization sono utilizzati per studiare i periodi storici, e un gran numero di titoli import vengono utilizzati per l’apprendimento delle lingue. Non é un caso che gran parte dei titoli di natura simulativa abbia avuto origine come modello della realtà utilizzato a fini di studio: lo stesso Will Wright, per concepire Sim City e The Sims si é basato sulle teorie di J.W. Forrester, l’inventore della “Dinamica dei Sistemi”, che ha sviluppato i primi prototipi della rete radar “Whirlwind” degli Stati Uniti – insomma, i primi sistemi che simulavano scenari complessi e progettassero strategie a breve e lungo termine. Nel 1968 questi studi diedero i natali al sistema Urban Dynamics: un simulatore di metropoli, dal traffico, alla demografia, alla disoccupazione… in pratica un proto-Sim City.


Tom Wujec, mente di Autodesk (il colosso americano che domina il settore dei software per la progettazione architettonica) commenta così l’utilità dei videogiochi e delle simulazioni: "I prototipi digitali, la possibilità di realizzare modelli, sono fondamentali in qualsiasi processo di apprendimento: le simulazioni sono una forma di visualizzazione dei problemi e degli ostacoli che bisogna aggirare sul piano del reale. Consentono di non fare errori e allo stesso tempo aprono nuove frontiere nella progettazione".


"Tutti i giochi gestionali, perfino Nintendogs, portano a considerare peso e effetti delle proprie decisioni - continua Manuela Cantoia - Aiutano le persone a ragionare, se li si adopera in questo senso. Molti manager si allenano e vengono valutati usando i giochi elettronici. Danno un'indicazione precisa della capacità di gestione di un team, della rapidità di scelta, dell'abilità nell'analisi delle variabili.”


Ovviamente, però, l’effettiva utilità di uno strumento dipende dall’uso (o dall’abuso) che se ne fa: “Alla fine dire ‘videogame’ é come dire ‘carta’ – conclude la Cantoia – sono un mezzo neutro. Sono così tanti e così diversi che ogni generalizzazione é inutile. Bisogna capire quale piattaforma si usa, quale console e quale videogame e per quale scopo. Sono realtà diverse. E invece le famiglie si fermano alla parola ‘gioco’ e non controllano, lasciano che sia un terreno in mano a bambini e adolescenti”.