300: L'alba di un Impero
di
Marco Modugno
“Molon labé”! Sono le laconiche parole che Leonida di Sparta rivolse ai persiani, che gli intimavano di cedere le armi. Venitele a prendere! Sette anni dopo quel primo visionario 300, dedicato appunto all'impresa eroica Leonida e ai suoi prodi spartani, definitiva consacrazione cinematografica delle graphic novel di Frank Miller, dopo l'accoglienza tiepida riservata dal pubblico a Sin City, le tre fatidiche cifre dai colori sanguigni tornano al cinema, dando il titolo all'attesissimo sequel. Questa volta tocca a Noam Murro sedersi dietro la macchina da presa per celebrare il valore degli opliti e dei marinai greci capaci, nel momento di massima grandezza della virtù militare ellenica, di sconfiggere una forza all'apparenza inarrestabile come l'armata persiana, disposta a tutto pur di piegare la resistenza coraggiosa delle città stato greche.
La storia si mescola al mito, ancora una volta, meravigliando lo spettatore con scenari onirici, palette di colori in grado di ricreare alla perfezione le atmosfere dei fumetti di Miller, senza per questo togliere nulla al realismo estremo, computer grafica e tecnica del blue screen in simbiosi perfetta con attori e oggetti reali, prime fra tutte le fantastiche ricostruzioni delle navi da guerra. Ang Lee, Zhang Yoimou e parecchi altri componenti della nutrita pattuglia di registi orientali specializzati in pellicole “wuxiapian” farebbero bene a farsi dare qualche ripetizione dallo zio Noam. Non ce n'é per nessuno, a confronto, se parliamo di scene di battaglia sincronizzate come coreografie di Broadway, dove non c'é posto per la mossa superflua, per l'inutile dispendio d'energia, per il passo falso. Sia che si tratti di protagonisti, che di semplici figuranti, gli attori si muovono di fronte alla macchina da presa con un'armonia che incrocia il balletto classico con la capoeira acrobatica, mentre la camera danza con loro, valorizzando ogni controcampo, inquadratura, carrellata, senza soluzioni di continuità tra la panoramica e il primissimo piano.
I personaggi celebrati nelle storie di Erodoto ci sono (quasi) tutti. Primo fra tutti Temistocle, incarnato dall'australiano Sullivan Stapleton (Gangster Squad al cinema e Strike Back in TV), condottiero ateniese capace di mille espedienti, tenace, geniale, vero ago della bilancia nel trasformare la rivalità che separa le città stato greche in unità contro un micidiale nemico comune.
Catturati dallo spessore del personaggio, si riesce perfino a perdonare allo sceneggiatore (e a Frank Miller) di avergli permesso di rubare la scena a Milziade, condottiero greco vero vincitore a Maratona. La storia dell'agguato all'approdo delle navi persiane é autentica, però. E nel sacro nome delle licenze narrative, va benissimo l'invenzione della freccia scagliata contro re Dario in ritirata, capace di costituire da sola il casus belli, in grado di animare il giovane Serse, interpretato dal brasiliano Rodrigo Santoro, contro la Grecia a tal punto da scegliere di sacrificare la propria umanità, accettando di vendere la propria anima alle potenze degli inferi e trasformandosi in una grottesca quanto terribile statua vivente. Il confronto tra l'imperatore assetato di vendetta e il sobrio ma coraggioso condottiero di Atene, però, a differenza dello scontro con Leonida visto nel primo film, é indiretto, mediato dalla presenza immanente dell'eccezionale coprotagonista, Eva Green.
La strepitosa, tetra Morgana della serie TV Camelot ritorna in un nuovo ruolo da dark lady, nei panni di Artemisia, regina di Alicarnasso. Figura storica autentica, nel film la bellicosa regina cara a Serse diventa addirittura la comandante in capo della flotta persiana. E' lei l'antagonista di Temistocle dal principio alla fine, senza mai tirare il fiato, in una lotta serrata che é insieme uno scontro di spiriti guerrieri, oltre che di corpi. Vi dico subito, prima che la curiosità vi uccida che sì, la Green mostra le tette (e basta) nell'unica scena torrida del film e che invece no, Lena Headey (invecchiata, e un po' si vede, ma sempre all'altezza della situazione nei panni dell'implacabile regina Gorgo di Sparta) non fa vedere nient'altro che il suo sguardo fiero e assetato di vendetta per la morte di Leonida.
Personaggi femminili eccezionali, la Headey e la Green, che assieme all'ottimo Temistocle e alla coppia padre figlio Scyllias e Callisto valgono da soli l'intero film. La prima é voce narrante dal principio alla fine, moglie addolorata ma risoluta, regina caparbia ma coraggiosa, sibilla rivelatrice di oscuri presagi e guerriera impavida, pronta a raccogliere il testimone, pardon la spada, di Leonida alla testa del resto (numeroso e agguerrito) delle impavide schiere spartane. La seconda é un'antagonista che oscura il re-dio, relegato in secondo piano dalla personalità dirompente di un'attrice che sembra nata apposta per questo tipo di ruoli. Rapita (nella versione fantastica di Miller) da bambina da saccheggiatori greci, come all'epoca era triste uso, in caso di conquista, resa schiava, oggetto d'indicibili nefandezze, abbandonata infine per morta, Artemisia trova la via del riscatto nell'amicizia con un nobile spadaccino persiano che, perdoniamo a Miller e Snyder pure questo scivolone nello stereotipo, la cresce e l'addestra finché l'allieva supera il maestro. La crudeltà non priva di emozioni della regina nera di Alicarnasso, degna di un signore dei sith, unita alla sua gelida efficienza in battaglia e alla sua assoluta dedizione alla causa anti-ellenica, la rende gradita a Dario di Persia, prima, e al figlio Serse, poi.
La storia si mescola al mito, ancora una volta, meravigliando lo spettatore con scenari onirici, palette di colori in grado di ricreare alla perfezione le atmosfere dei fumetti di Miller, senza per questo togliere nulla al realismo estremo, computer grafica e tecnica del blue screen in simbiosi perfetta con attori e oggetti reali, prime fra tutte le fantastiche ricostruzioni delle navi da guerra. Ang Lee, Zhang Yoimou e parecchi altri componenti della nutrita pattuglia di registi orientali specializzati in pellicole “wuxiapian” farebbero bene a farsi dare qualche ripetizione dallo zio Noam. Non ce n'é per nessuno, a confronto, se parliamo di scene di battaglia sincronizzate come coreografie di Broadway, dove non c'é posto per la mossa superflua, per l'inutile dispendio d'energia, per il passo falso. Sia che si tratti di protagonisti, che di semplici figuranti, gli attori si muovono di fronte alla macchina da presa con un'armonia che incrocia il balletto classico con la capoeira acrobatica, mentre la camera danza con loro, valorizzando ogni controcampo, inquadratura, carrellata, senza soluzioni di continuità tra la panoramica e il primissimo piano.
I personaggi celebrati nelle storie di Erodoto ci sono (quasi) tutti. Primo fra tutti Temistocle, incarnato dall'australiano Sullivan Stapleton (Gangster Squad al cinema e Strike Back in TV), condottiero ateniese capace di mille espedienti, tenace, geniale, vero ago della bilancia nel trasformare la rivalità che separa le città stato greche in unità contro un micidiale nemico comune.
Catturati dallo spessore del personaggio, si riesce perfino a perdonare allo sceneggiatore (e a Frank Miller) di avergli permesso di rubare la scena a Milziade, condottiero greco vero vincitore a Maratona. La storia dell'agguato all'approdo delle navi persiane é autentica, però. E nel sacro nome delle licenze narrative, va benissimo l'invenzione della freccia scagliata contro re Dario in ritirata, capace di costituire da sola il casus belli, in grado di animare il giovane Serse, interpretato dal brasiliano Rodrigo Santoro, contro la Grecia a tal punto da scegliere di sacrificare la propria umanità, accettando di vendere la propria anima alle potenze degli inferi e trasformandosi in una grottesca quanto terribile statua vivente. Il confronto tra l'imperatore assetato di vendetta e il sobrio ma coraggioso condottiero di Atene, però, a differenza dello scontro con Leonida visto nel primo film, é indiretto, mediato dalla presenza immanente dell'eccezionale coprotagonista, Eva Green.
La strepitosa, tetra Morgana della serie TV Camelot ritorna in un nuovo ruolo da dark lady, nei panni di Artemisia, regina di Alicarnasso. Figura storica autentica, nel film la bellicosa regina cara a Serse diventa addirittura la comandante in capo della flotta persiana. E' lei l'antagonista di Temistocle dal principio alla fine, senza mai tirare il fiato, in una lotta serrata che é insieme uno scontro di spiriti guerrieri, oltre che di corpi. Vi dico subito, prima che la curiosità vi uccida che sì, la Green mostra le tette (e basta) nell'unica scena torrida del film e che invece no, Lena Headey (invecchiata, e un po' si vede, ma sempre all'altezza della situazione nei panni dell'implacabile regina Gorgo di Sparta) non fa vedere nient'altro che il suo sguardo fiero e assetato di vendetta per la morte di Leonida.
Personaggi femminili eccezionali, la Headey e la Green, che assieme all'ottimo Temistocle e alla coppia padre figlio Scyllias e Callisto valgono da soli l'intero film. La prima é voce narrante dal principio alla fine, moglie addolorata ma risoluta, regina caparbia ma coraggiosa, sibilla rivelatrice di oscuri presagi e guerriera impavida, pronta a raccogliere il testimone, pardon la spada, di Leonida alla testa del resto (numeroso e agguerrito) delle impavide schiere spartane. La seconda é un'antagonista che oscura il re-dio, relegato in secondo piano dalla personalità dirompente di un'attrice che sembra nata apposta per questo tipo di ruoli. Rapita (nella versione fantastica di Miller) da bambina da saccheggiatori greci, come all'epoca era triste uso, in caso di conquista, resa schiava, oggetto d'indicibili nefandezze, abbandonata infine per morta, Artemisia trova la via del riscatto nell'amicizia con un nobile spadaccino persiano che, perdoniamo a Miller e Snyder pure questo scivolone nello stereotipo, la cresce e l'addestra finché l'allieva supera il maestro. La crudeltà non priva di emozioni della regina nera di Alicarnasso, degna di un signore dei sith, unita alla sua gelida efficienza in battaglia e alla sua assoluta dedizione alla causa anti-ellenica, la rende gradita a Dario di Persia, prima, e al figlio Serse, poi.