Final Cut, recensione: i francesi copiano (bene) gli zombie giapponesi

Il regista giapponese Michel Hazanavicius apre Cannes con una sorprendente commedia zombie, il remake di un cult giapponese.

Era il 2017 quando il regista giapponese Shin’ichirô Ueda si lanciò in una produzione a bassissimo budget destinata a diventare un piccolo cult del genere zombie. Dopo qualche tempo Zombie contro zombie - One Cut of the Dead è arrivato anche in Italia, intercettato per lo più da fan di horror e zombie movie, impazienti di vedere una delle più originali e folli riletture recenti del genere.

Tra i fan internazionali della pellicola però c’era anche un nome insospettabile: quello di Michel Hazanavicius, regista francese noto soprattutto per il film muto e in bianco e nero The Artist, vincitore di 5 premi Oscar nel 2011. Hazanavicius è un cineasta che non ha paura di cambiare tono e registri, di prendersi rischi. Precedentemente intitolato Z, titolo poi cambiato per la sfortunata associazione con l’uso della lettera fatto dalle truppe russe in Ucraina, Coupez! (Final Cut) è come una proposta spiazzante di un cineasta da cui ci si aspetterebbe altro. Invece Hazanavicius si dimostra attento e concentrato anche nel dirigere quello che di fatto è un film di puro intrattenimento, congegnato per scoraggiare il pubblico nella sua prima mezz’ora. Non è del tutto sorprendente, considerando il suo lavoro sulla saga comica Agente speciale 117, parodia francese di 007 con protagonista Jean Dujardin.

Una sola raccomandazione: quando sarete in sala a vedere Final Cut, mi raccomando: non demordete, dategli il tempo di spiegarsi.

La trama di Final Cut

Rèmi (Romain Duris) è un regista di basse pretese, contento di riuscire a portare a casa insieme alla moglie ed ex attrice Nadia (Bérénice Bejo, musa e moglie del regista) ogni progetto con un livello “decente” di qualità, senza mai fare troppo lo schizzinoso. Veloce, economico e decente, è il suo credo lavorativo, ma talvolta realizzare un film richiede un grande sforzo umano e collaborativo anche se il progetto è tutt’altro che sofisticato.

La sua storia di Rèmi s’intreccia con quella della produzione di un film di bassissima fascia a tema zombie, registrato in presa diretta e senza tagli in un edificio abbandonato in periferia. Mentre sta girando la pellicola la troupe viene attaccata da veri zombie e cerca di sopravvivere.

Final Cut: brutto di proposito e divertentissimo

Senza anticipare troppo sulla trama, il consiglio è di arrivare preparati alla visione: la prima mezz’ora sarà un calvario, ma ne varrà la pena. Perché è così brutto l’avvio del film? Final Cut si mostrando allo spettatore il film di scarsa qualità interrotto dall’attacco di strani zombie. Vi accorgerete subito che è mal recitato, pieno di buchi di trama e incongruenze. È il punto del film; non il metafilm, ma quello vero: raccontare un’esilarante making of pieno di trovate e svolte sorprendenti. Molto più commedia e che zombie comedy, Final Cut è un divertito omaggio alla passione, l’artigianalità e l’inventiva richieste per realizzare un film, anche il più modesto e improvvisato di tutti.

A detta degli estimatori l’originale scritto, diretto e prodotto da Shin’ichirô Ueda in assoluta ristrettezza di mezzi rimane ben superiore per qualità e impatto. Hazanavicius adatta fedelmente ma ci mette del suo, sfruttando la distanza tra l’ironia europea e quella originale giapponese (che rimane inalterata, così come i nomi dei luoghi e dei protagonisti) per aumentare ancora di più il bizzarro senso di incongruenza che regala la pellicola. In definitiva, dopo il deludente I morti non muoiono di Jim Jarmusch che aveva aperto il Festival nel 2019, Cannes punta sui non morti giusti, aprendo con un film commerciale ben fatto e ben recitato, capace di far ridere di cuore e di sollievo la platea prima dell’arrivo dei grandi film autoriali e drammatici della kermesse.