Frammenti dal passato - Reminiscence, recensione: il futuro è schiavo del passato
Quello di Lisa Joy è un debutto alla regia quasi sempre incolpevole dei propri difetti, importante sintomo di quanto la società sia schiava di un ricordo futuristico ormai passato ma da cui è impossibile sottrarsi.
I discorsi interessanti che si possono fare su Frammenti dal passato - Reminiscence sono almeno due, ma portano entrambi a mettere in secondo piano un nome nuovo e promettente dello scenario fantascientifico cinematografico mainstream. Vorrei vedere più Lisa Joy nel nostro presente e futuro, più scrittrici in grado di sostenere un'opera SFF di colossale complessità e ambizione (nei panni di sceneggiatrice di Westworld) ma anche di calibrare il proprio debutto registico con una storia dai confini narrativi ben precisi, che si puntella su un genere ampiamente codificato (il noir) per mettere in atto pochi, tutto sommato semplici colpi di scena,. Una moderazione che lascia dietro di sé un film raramente sorprendente, ma che non mostra il fianco quando ci si sofferma ad analizzarne la struttura. Manca soprattutto di carattere e di una visione propria Lisa Joy regista, ma è facile vedere quanto nel progetto sia pesata l'influenza del clan Nolan (Jonathan alla produzione insieme a tanti collaboratori storici del fratello Christopher), tanto da poter definire Reminiscence un film "nolaniano". Sarà interessante vedere, se e quando avrà le mani più libere, cosa possa mettere di proprio Joy nel piatto.
Il passato e il ricordo come dipendenze
Dato a Lisa Joy il giusto spazio, ci si può soffermare a parlare dell'aspetto più allarmante che quest'operazione porta con sé, anche se in tutta onestà sono tante le sfaccettature preoccupanti. Guardando al box office è evidente il totale disinteresse del pubblico verso sempre più rari prodotti originali, proprio di quello stesso pubblico che lamenta il dilagare di remake e franchise. Reminescence (e la sua star un po' appannata Hugh Jackman) è uno dei tanti film finiti nel tritacarne di ciò che sta tra il cinema com'era prima e di come sarà in futuro, e non solo per quanto riguarda la fruizione.
La mancanza di curiosità verso ciò che è ignoto a favore di ciò che è già noto, magari anche nostalgico, è quasi desolante. D'altronde il film di Joy parla proprio di questo: di un futuro in cui Miami è sommersa dall'acqua a causa del cambiamento climatico, in cui i ricchi si rinchiudono nella sicurezza transitoria che il denaro può comprare mentre i più poveri sopravvivono convivendo con le maree. Ad annullare le classi sociali è solo l'impulso, la necessità di vivere con sorprendente realismo i ricordi più cari, grazie a un tecnologia nata in ambito militare per interrogare i prigionieri di guerra che rende tangibile e riproponibile all'infinito il passato.
Nick Bannister (Hugh Jackman) è un veterano che insieme alla compagna d'armi Emily “Watts” Sanders (Thandiwe Newton) mette a servizio la sua esperienza di tecnico dei ricordi da freelance, sia al Dipartimento di giustizia sia ai comuni cittadini ossessionati dal passato. Nick sembra consapevole di tutte le trappole e degli inganni che si nascondono dietro a "ciò che è perduto, di cui diventiamo consapevoli solo osservando il vuoto che lascia dietro di sé", ma sarà la femme fatale Mae (Rebecca Ferguson) a fargli perdere lucidità, equilibrio e certezze. I limiti più castranti del film sono sostanzialmente due e sono interconnessi.
Nessuno immagina più il futuro
Reminiscence è a sua volta schiavo del ricordo di venti e più anni di cinema che immagina il futuro ma senza muoversi mai da una visione ben precisa, ferma per lo più agli anni '80. Sembra quasi di guardare a qualcosa di retrofuturista, tanto lo scarto tra quel futuro immaginato quaranta e più anni fa e quello ragionevolmente prevedibile oggi si è allargato. L'unica sostanziale novità è come pian piano il protagonista maschio e bianco venga sempre più inquadrato come una figura fragile, costretta dalla sua identità al rifuggire il presente e a tornare in un passato che più gli si confà.
Va rilevato però - in un discorso molto, molto più ampio di quello riguardante Reminescence - che quanti rivendicano più spazio per essere rappresentati sembrano mirare più a ricoprire il posto precedentemente occupato da quel tipo di protagonista che a cambiare lo status quo. Non c'è rottura ideologica, stilistica, immaginifica: non sembra davvero esserci nessuno in grado d'immaginare un nuovo futuro, in grado di farci uscire dalla trappola di ciò che un tempo era visione e ora è solo passato, sempre meno prossimo.