Il collezionista di carte, la recensione: azzardo e tortura nell'America di Schrader
Più accessibile e mainstream del solito, il regista Paul Schrader confeziona un thriller avvincente, dalle musiche suadenti e con un Oscar Isaac impeccabile.
Il collezionista di carte si apre in una cella di prigione, con il protagonista William che racconta come l'esperienza dietro le sbarre sia adatta a lui, cresciuto come un ragazzino americano spaventato dall'idea stessa di essere limitato in un solo luogo, pronto a prendere la macchina e guidare senza meta per godersi la libertà. Più tardi scopriremo che si trova in prigione (e ci rimarrà per otto anni e mezzo) per qualcosa che ha commesso in un altro carcere, nei panni di carceriere.
Se avete visto First Reformed o un altro film del regista Paul Schrader potete immaginare cosa questo implichi: i suoi protagonisti infatti (anzi, tutto il suo cinema) devono sempre vedersela con un conflitto interiore insanabile che pesa sulla loro esistenza. William (Oscar Isaac) è riuscito a trovare un certo grado di pace interiore nella routine della vita di prigione, nei suoi panorami e colori neutri e nei suoi orari stabili. Qui ha imparato a contare le carte, abilità che gli permette di vincere poco ma in maniera costante a Black Jack nei casinò che frequenta. Non vuole essere famoso o attirare l'attenzione, nonostante come giocatore di poker abbia grandi potenzialità.
Ascetismo e gioco d'azzardo
La sua ricerca di stasi, la sua vita fondata su uno strano intreccio tra ascetismo e gioco d'azzardo, viene bruscamente fermata dall'incontro con Cirk (Tye Sheridan), figlio di un uomo che si è macchiato dei suoi stessi crimini. William è riuscito a non farsi mangiare vivo dal desiderio di rivalsa e vendetta rispetto a quanti hanno compiuto le sue stesse azioni ma non hanno pagato alcunché dal punto di vista giudiziario. Decide di tentare di rimettere in carreggiata la vita di Cirk, ossessionato da propositi omicidi contro le persone che addestrarono e diedero ordini a William e a suo padre.
Prodotto da Martin Scorsese, Il collezionista di carte è un thriller che tira fuori il meglio da Schrader, rendendo godibile per un pubblico più ampio rispetto al solito. Il tema passpartout del poker e del gioco d'azzardo lo rendono una visione più semplice da affrontare del precedente (e amatissimo dalla critica) First Reformed, anche se i due film propongono lo stesso arco narrativo, le stesse riflessioni. Schrader continua a chiedersi se sia possibile liberarsi dal peso morale delle azioni compiute nel passato, magari aiutando un'altra persona a commettere gli stessi errori.
L'aspetto interessante di Il collezionista di carte è come, a differenza dei suoi protagonisti precedenti, William sia un criminale vero, che ha compiuto atti terribili e che vive nella consapevolezza "di essere tagliato per fare certe cose". Eppure Schrader mette in luce quanto gli eventi terribili di cui è stato aguzzino l'abbiano traumatizzato quanto le sue vittime, con cui ha condiviso scenari infernali che il regista ritrae con una tecnica particolare, che fonde le immagini in una visione dantesca e disturbante. Schrader utilizza il personaggio di Willem Defoe per chiedersi e chiederci come gli Stati Uniti potranno espiare colpe così terribili a livello di nazione, laddove tutto l'apparato che le ha generate è ancora intatto e intoccabile.
Che la performance di Oscar Isaac sia più che all'altezza del ruolo, conoscendo il suo sconfinato talento, non era così imprevedibile. Risulta invece molto sorprendente (e vincente) il lavoro fatto sulla colonna sonora, meno rigorosa e più coinvolgente a livello emotivo del passato.
Voto
Redazione