Mona Lisa and the Blood Moon, recensione: un trip neon di vendetta e libertà a New Orleans
Ana Lily Amirpour torna a rielaborare e reinventare i generi che amava da ragazzina: Mona Lisa è il suo omaggio al cinema d'avventura degli anni '80 e '90, attraverso una prisma di colori neon e b-movie.
Le ragazze che camminano da sole nel buoio della notte del cinema di Ana Lily Amirpour spesso sono sperdute, ma mai indifese. Mona Lisa (Jeon Jong-seo), la protagonista del suo terzo lungometraggio presentato in concorso a Venezia 78, è ancora vestita con una camicia di forza e coperta di sangue mentre attraversa la bassa vegetazione che copre il terreno tra il manicomio da cui è fuggita e la periferia di New Orleans. Il suo passato rimarrà un mistero attraverso cui riusciamo a cogliere solo un pugno di informazioni: è di origine asiatica, i documenti sul suo arrivo in America sono top secret e per ragioni sconosciute è rimasta internata in una cella di deprivazione sensoriale di un istituto psichiatrico per oltre un decennio.
Non sappiamo nemmeno come o quando si sia resa conto del suo potere, ovvero la capacità di manovrare i corpi delle persone contro la loro volontà, dirigendoli come marionette, agitando le mani e muovendo gli occhi come un direttore d'orchestra. Non è una caso dunque che Mona Lisa si ritrovi a New Orleans, città che nell'immaginario collettivo ha una forte connotazione sovrannaturale, tra riti voodoo e presenze sinistre. Mona però è solo alla ricerca di un riparo sicuro e di cibo (possibilmente da fast food), poco propensa a fidarsi delle autorità ma stranamente attirata a personaggi poco raccomandabili come il faccendiere Fuzz (Ed Skrein) e la ballerina di lapdance e madre single Bonnie Bell (Kate Hudson).
Amirpour e il cinema di pura atmosfera
Mona Lisa and the Blood Moon segue la sua protagonista nella sua progressiva presa di consapevolezza di come funziona il mondo fuori dalla camera in cui è stata rinchiusa: un viaggio non privo di violenza e delusioni, specie per quanto riguarda l'autorità e il denaro. Decisamente meno violento ed estremo del precedente film distopico The Bad Batch, il terzo film della regista di origini iraniane sembra incantato dalla purezza inscalfibile della sua protagonista.
L'aspetto più accattivante di un lungometraggio dalla storia un po' stiracchiata è l'atmosfera: il lavoro di scenografia negli interni si fa notare, non solo per la cura con cui è realizzato ma anche per il gusto lontanissimo da quello del film tipo - ingessato e classicheggiante - visto qui a Venezia. Dagli abiti spaiati e oversize che indossano i protagonisti alla casa psichedelica e fluorescente di Fuzz, Mona Lisa and the Blood Moon è tra i rarissimi film dove si respira un'atmosfera autenticamente giovane, persino adolescenziale, con il polso di ciò che "fa figo" tra i nuovi adulti riprodotto con spontaneità, senza vivisezioni o pose. Lo stesso discorso si può fare per la colonna sonora che utilizza con fascinazione e apprezzamento generi come la trap e il dubstep, oltre a una strepitosa cover EDM di Rodion del brano Estate di Bruno Martino.
È una pellicola atmosferica, di cui apprezzare il mood più che concentrarsi sulla storia, che soprattutto per il personaggio di Bonnie Belle e relativo passaggio di trama ricorda parecchio Le ragazze di Wall Street - Business Is Business con Jennifer Lopez. La regista Amirpour qui più che strafare punta a divertire e divertirsi e, in questa chiave, il suo film è una chicca stuzzicante.