Pinocchio, la recensione: il burattino non dice più le bugie (ma vuole fare l’influencer)
Il nuovo live action di casa Disney aggiorna il burattino di Collodi al 2022, rendendolo tanto buono da essere irriconoscibile. La recensione.
Cosa è successo al burattino di Collodi? Pare che nel 2022 neanche Pinocchio non abbia bisogno del Grillo Parlante, perché è già un bravo burattino, giudizioso e diffidente. Buono a sapersi, considerando che entro fine anno vedremo un altro film dedicato al personaggio, firmato da Guillermo Del Toro. C’è da sperare che almeno il regista premio Oscar di La forma dell’acqua riesca a regalare un po’ dell’atmosfera e degli elementi che fanno di Pinocchio una storia (morale) senza tempo, eterna. Elementi qui del tutto assenti, in una versione oltremodo buonista e superficialissima di un racconto di paternità e crescita talvolta straziante.
Nonostante sia presentato come un adattamento del romanzo di Collodi, il Pinocchio di Robert Zemeckis è in realtà un live action basato sull’adattamento assai libero che del romanzo fece Walt Disney stesso nel lontano 1940. Essendo passati quasi ottant’anni, per parlare al grande pubblico delle famiglie e dei bambini chiaramente quell’adattamento ha bisogno di un’aggiustatina, linguistica e narrativa. I tempi e i bambini sono cambiati, per non parlare del sentire comune. Sta diventando difficile immaginare oggi un film in cui gli adulti fumino, figurarsi i bambini nel Paese dei Balocchi.
Largo quindi a un Pinocchio che invoca il pensiero positivo, fa sci d’acqua e viene convinto dal Gatto e dalla Volpe a fare l’influencer. Comprensibili ma non sempre efficaci anche tagli e aggiunte rispetto alla vecchia versione disneyana della storia. Aggiunte come la gabbiana Sofia hanno davvero poco da dire, mentre è più azzeccata l’amicizia tra il burattino e una ragazzina con una gamba di legno, che manovra una burattina di nome Sabina. I puristi ne saranno orripilati, ma essere ostili al cambiamento in quanto tale è quanto più di retrogrado e controproducente possibile. Lo stesso Disney tradì la forma della storia collodiana, mantenendone l’essenza di racconto morale e formativo, una guida a come essere “bravi bambini”.
Il problema di questo Pinocchio che che nega la natura stessa della storia del burattino, dandone una versione priva di difficoltà, mordente e che quindi non insegna nulla, ai grandi e ai bambini. Il Pinocchio protagonista di questo film è a tutti gli effetti già un bravo bambino, bravo, coraggioso e disinteressato. Dice pochissime (e giustificate) bugie, tanto che il naso gli torna normale senza intervento della Fata Turchina (Cynthia Erivo). È sconcertante vederlo fare la morale a Lucignolo, non godersi neanche un po’ il Paese del Balocchi, messo a disagio dalle marachelle e dalle birbanterie dell’amico.
Pinocchio: cosa è cambiato dal 1940 al 2022
La figura più misera la fa sempre il Grillo Parlante, che passa la stragrande maggioranza del film lontano dal suo protetto, in modo che quest’ultimo sia giustificato nei suoi errori. Questo Pinocchio arriva veramente a scuola, ma viene cacciato in malo modo dal professore perché non è un bambino vero. Che senso ha questo adattamento in cui tutte le asprezze, i pericoli e gli errori della storia originale sono stati cancellati? Un adattamento in cui Geppetto può permettersi di non vendere i propri orologi perché a quanto pare non è nemmeno povero, in cui Mangiafuoco (Gianluca Battiston) è tutt’altro che terrorizzante ed è tolto di mezzo da gendarmi, pardon, dai carabinieri, perché a quanto pare anche le istituzioni sono rassicuranti in questa versione.
Insomma, Disney ha reso inoffesiva e inutile la storia di Pinocchio: cosa può insegnare un bambino che è già buono e che prende naturalmente la decisione più difficile, ma giusta, ai bambini di oggi? Niente ed è proprio questo il punto: questo Pinocchio è un film da Paese dei Balocchi, tutto divertimento, occhiolini al presente (vedi la citazione di Chris Pine, delle tasse e le montagne russe con scritto “Give me a Break” sopra), perché anche i genitori si devono divertire.
Un film concentratissimo sul marchio Disney (occhio ai tanti easter egg nella scena in cui suonano i cucù), ma poverissimo di ciò che ha reso questa storia memorabile. Sono stati quasi del tutto cancellati solo la lezione morale, gli avvertimenti e l’ordine sociale, ma anche la gioia di un bambino genuinamente monello e birbante, che fa tutti gli errori possibili e indulge in tutte le tentazioni, ma che parla molto più allo spettatore di questo burattino (non solo in senso letterale). Persino quella punta di radicalità che ci aveva messo Collodi - che parla del sogno di paternità di Geppetto, uomo solo e povero - viene subito trasformata nella più classica delle storie con il protagonista Disney orfano. Solo che questa volta è Tom Hanks a interpretarlo, avendo perduto la moglie e un figlio. Un Pinocchio così reazionario da far sembrare Collodi un anarchico.
Sul fronte tecnico c’è poco da dire. La regia è quanto ci può aspettare da un film live action con una forte commistione tra personaggi digitali (a partire da Pinocchio, che conserva il look del classico Disney) e attori reali. Bizzarra la scelta di far parlare ogni tanto i personaggi in rima e di conservare una parte della canzoni, aggiornandone altre. L’impressione è di vedere una pellicola indecisa se essere un film Disney cantato o lasciare perdere. La resa dei personaggi e delle animazioni ricorda un po’ i videogiochi per bambini: sotto questo fronte danno ben più soddisfazioni le versioni viste nella saga videoludica di Kingdom Hearts.