Recensione 365 giorni: il softporn di Netflix più comico che erotico
Il film che tutti vorrebbero eliminare, ma per i motivi sbagliati
“Ti sei persa, bambolina?”
Lei forse no, ma io si. E siamo forse al minuto quindici del film.
365 giorni è il film del momento. Certamente non per la qualità della pellicola, quanto per l’avvenenza del protagonista maschile (l’italiano Michele Morrone) e per la propensione del film a incedere in bollentissime scene di sesso che sfociano nel soft core.
E la storia? C’è, ma sembra essere fatta e servita solo per fungere da filo conduttore tra le scene di cui sopra e se forse l’intreccio narrativo funziona sulla carta (il film è tratto da un libro che spopolato nella natia patria polacca), lo stesso non gli riesce sul piccolo schermo.
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Il film, ospitato da Netflix, nelle sue quasi due ore di durata mette sul piatto davvero il minimo sindacale per imbastire qualcosa che possa definirsi una storyline coerente e credibile, ma evidentemente la fretta del regista nel concentrarsi su altri aspetti della pellicola gioca un brutto scherzo al ritmo, che risulta lento e prevedibile.
Ma cosa sono questi 365 giorni?
Massimo è il rampollo di una potente famiglia mafiosa siciliana. In seguito alla morte del padre, ucciso sotto i suoi occhi, il giovane assume il controllo di operazioni e traffici, guidato anche dalla figura di Mario, storico factotum e consigliere del padre. Nell’attentato fatale al capofamiglia, anche Massimo riporta delle serie ferite, ed è proprio nel momento in cui è sospeso tra la vita e la morte che gli appare il volto di una donna che, almeno inizialmente, non può riconoscere.
Un volto che diventerà reale qualche tempo dopo, quando Massimo incontrerà casualmente la donna. Lei, Laura , è in vacanza in Sicilia con un fidanzato più attento ai suoi bisogni che quelli di lei, di qualsivoglia natura. La frustrazione della donna la porterà a vagare (non si capisce perché..) per le strade di una cittadina siciliana, dove viene rapita dagli uomini di Massimo.
Ed è da qui che partono i 365 giorni: la donna ha esattamente un anno di tempo per innamorarsi del giovane boss. Certo, lui è rozzo, abituato a ottenere tutto con le buone o le cattive (con una certa propensione alla seconda) e pensa alle donne come un mero accessorio, ma ha dalla sua un “fisico scolpito dal demonio” e una quantità di soldi praticamente illimitata. E così, tra dialoghi al limite dell’allucinante e interpretazioni che anche Renè Ferretti avrebbe fatto fatica a digerire, la donna tra jet privati e yatch da sogno, cade nella rete del giovane boss, innamorandosi di lui (ma ci sono voluti tipo 20 minuti, altro che un anno) e dando sfogo alle sue fantasia più sfrenate.
Ed è qui che 365 Giorni diventa un caso. Perché regista e attori non si fanno mancare praticamente niente, mettendo in scena sequenze molto “oltre”, tanto da far insorgere anche il Codacons che chiede a gran voce la rimozione del film dalla piattaforma americana. Anche la cantante irlandese Duffy si è espressa contro il sessisimo presente nel film, esternando la sua preoccupazione nel rendere quasi affascinante il concetto di rapimento e violenza psicologica a cui la donna viene sottoposta nel corso della pellicola.
Inutile cercare altro: molti degli attori coinvolti hanno lasciato la recitazione in qualche cassetto di casa, la qualità dei dialoghi è davvero basica e l’intreccio è talmente scontato da prevedere svolgimento e finale al minuto 5 del film. Rimane solo uno statuario Michele Morrone nel ruolo di bello e dannato (ma le faccette da attore porno anche no, dai) e qualche italiano scenario da cartolina. Dateci retta, su Netflix c’è davvero tanto di molto, molto meglio. E il finale aperto lascia aperta la porta anche ad un secondo capitolo. Non perdeteci tempo e passate oltre.
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Redazione