Jungle Cruise, recensione: divertimento rapido e indolore

Ormai pienamente evolutosi da eroe action a rassicurante totem di film per famiglie, Dwayne Johnson riesce a dare un po' di concretezza a un film dalle basi davvero minime.

di Elisa Giudici

Nel 2021 non sembra esistere un limite all'ambizione dei grandi studios statunitensi di creare franchise cinematografici a partire davvero da ogni tipo di spunto: quello di Jungle Cruise per esempio non è nemmeno una narrazione, bensì il nome di una famosa attrazione presente nei parchi di divertimento della Disney. A onor del vero operazioni spregiudicate di questo tipo fanno parte del DNA degli Studios hollywoodiani sin dalla loro nascita, ma era da qualche tempo che non si vedeva un processo di adattamento tanto sui generis.

L'attrazione Jungle Cruise, nata 66 anni fa, coniuga scenari verdi, trasporti fluviali e una narrazione vocale. Le sue imbarcazioni portano i visitatori in un viaggio sul fiume che vuole replicare tre habitat fluviali selvaggi presenti in altrettanti continenti (Africa, Asia e Sud America), proponendo un'avventura che richiami il sapore delle esplorazioni dell'Inghilterra coloniale in cui scienziati e botanici si avventuravano nelle regioni incontaminate delle colonie per scoprire nuove specie e varietà naturali. Questo è lo spunto narrativo e il contesto storico da cui prende avvio anche il film.

Dal parco divertimento al grande schermo

Il film Disney infatti è ambientato tra fine Ottocento e inizio Novecento, passando dalla Londra delle accademie scientifiche ai recessi della giungla amazzonica. Qui Lily Houghton (Emily Blunt) e suo fratello McGregor (Jack Whitehall) noleggiano la barca di Frankie (Dwayne Johnson) per raggiungere un leggendario albero magico, in grado di guarire ogni malattia e maledizione. Frankie però è un barcaiolo truffaldino, che organizza tour volti a impressionare i turisti occidentali con elaborate messinscena fasulle, magari intascando qualche soldo extra con cui pagarsi migliorie per la sua barca.

La sua attitudine truffaldina di scontrerà con l'attitudine schietta e coraggiosa di Lily, che desidera ardentemente trovare il leggendario albero e vedere riconosciute le sue istanze da botanica esperta, ridicolizzare dalla comunità scientifica maschilista di fine Ottocento. Alle calcagna del gruppo e alla ricerca dell'albero ci sono anche un gruppo di conquistadores maledetti e il figlio dell'imperatore Guglielmo di Germania. D'altronde cosa sarebbe un film d'avventura ed esplorazione senza un cattivo dall'accento vagamente teutonico con i baffetti e l'uniforme militare?

Un miscuglio di tante influenze avventurose

Come avrete intuito da questo accenno di trama, gli sceneggiatori di Jungle Cruise hanno guardato ai classici del genere d'avventura al cinema per creare quasi da zero la storia di un film, non avendo a disposizione una fonte vera e propria alla base. Da subito si sentono echi di Indiana Jones (specialmente di L'ultima crociata), di John Carter e di classici degli anni '90 del genere come La mummia, mentre nella seconda metà c'è una robusta iniezione narrativa presa di peso da La maledizione della prima luna, che sconfina quasi nella scopiazzatura vera e propria. Il target qui però è decisamente più infantile, come ampiamente segnalato da una serie infinita di battute e freddure sul farsela addosso dalla paura (letteralmente).

Date le premesse non proprio elettrizzanti, Jungle Cruise sorprende per costanza e concretezza: non ha grandi ambizioni, ma le persegue in maniera coerente e impegnandosi il giusto, forte di un cast che fa più di guadagnare il solito gettone di presenza. Dopo il successo inaspettato (e forse un po' immeritato) del reboot di Jumanji, Dwayne Johnson si conferma l'uomo giusto per questo tipo di operazioni, una delle poche star per cui il pubblico è disposto ad andare in sala quasi a scatola chiusa. Continua poi sul binario già intrapreso dai precedenti La bella e la bestia e Crudelia il tentativo di Disney di uscire dai ruoli di genere propri della tradizione ed essere più rappresentativa nei suoi film. Purtroppo sempre con un approccio in punta di piedi, così esitante che finirà ancora una volta per scontentare sia conservatori che progressisti.