Recensione Monster Hunter - Il Film

Sony getta le basi per la creazione di un suo Monsterverse

Il cinema di Paul W.S. Anderson è caratterizzato dalla crossmedialità e la sua prossima pellicola non si esime da tale “compito”. Il 17 giugno, infatti, nelle sale cinematografiche italiane l’adattamento filmico della saga di videogiochi: Monster Hunter. Non è la prima volta che Anderson si cimenta in una trasposizione su pellicola dell'universo videoludico, dal momento che il regista ha dato vita anche alla saga cinematografica di Resident Evil, sempre in coppia con Milla Jovovich e, nel lontano 1995, azzardò anche una sortita nel mondo di Mortal Kombat. 

Lo spettatore, una volta accomodatosi in sala, viene subito catapultato in un nuovo mondo. In modo quasi adrenalinico si viene introdotti in un contesto in cui i mostri la fanno da padrone e decidono le sorti dell’uomo. Lo stesso tipo di Darwinismo che è possibile respirare in quelle pellicole nella quale i dinosauri esistono o i mostri e giganti non popolano solo i nostri incubi, ma sono la realtà nella quale si vive. La legge del più forte e del più scaltro, dunque, governa un luogo decisamente lontano dalla Terra, per la quale, però, si ha misteriosamente accesso attraverso un portale. Una squadra scelta di militari, infatti, si ritroverà catapultata all’interno di questo mondo quasi per magia; trovandosi faccia a faccia con difficoltà che non avrebbero affrontato sui campi di battaglia del nostro mondo.

Mila Jovovich veste i panni della nostra protagonista: il capitano Natalie Artemis che cercherà di salvare se stessa e i propri uomini con la speranza di tornare nuovamente a casa.

Partiamo subito col dire che questo è un film che va assolutamente visto in sala; non solo perché si deve cercare di ristabilire la magia con lo schermo che si crea col buio, ma proprio per merito della sua realizzazione. Anderson, fin dagli adattamenti di Residen Evil e di Mortal Kombat, ha sapientemente mostrato la sua abilità di traslare le avventure di un videogioco in quelle action della narrazione filmica.

La diegesi, così, diviene funzionale alla volontà di raccontare passo dopo passo l’incremento delle difficoltà che il protagonista deve affrontare. Il film, infatti, viene suddiviso per “passaggi”: dalla più classica scelta del mostrare il mondo di partenza del nostro eroe – in questo caso la Terra – allo sconvolgimento di quello stesso mondo con conseguente chiamata all’azione; per poi passare ai primi mostri da dover affrontare e al crescendo di difficoltà che si acquisisce via via la trama si evolve. Come da addestramento videoludico, anche lo spettatore viene allenato al crescendo di emozioni nella quale verrà coinvolto attraverso gli occhi dalla protagonista.

Quando si ci approccia a questi film si potrebbe temere un mancato approfondimento dei personaggi. In questo caso, pur non conoscendo le loro storie precedenti al “richiamo all’avventura” ci è possibile comunque conoscerli. Vediamo il loro modo di pensare, i loro timori e quindi andiamo anche oltre quell’iniziale barriera data dall’archetipo alla quale sono associabili. L’attenzione alla fede e ai propri cari è qualcosa che ritorna sempre nella mitologia del soldato, specialmente quello americano col suo proverbiale ritorno a casa, ma è davvero delicata in modo interessante all’interno della storia e ci permette di entrare in empatia con i protagonisti in scena.

Monster Hunter è un film che coinvolge lo spettatore a tutto tondo. I sensi vengono impegnati nella visione e nell’ascolto della pellicola; inoltre, la visione in sala permette di sentire la propria poltrona tremare quasi come se si avesse un controller tra le dita. È un film visivamente divertente: i mostri sono spaventosi e interessanti allo stesso tempo; le ambientazioni riescono a suggerire questa idea di mondo distopico uscito dal nulla eppure assolutamente plausibile. Il tutto riesce a muoversi sulle giuste corde per intrattenere ed entusiasmare il pubblico senza eccedere nella classica “americanata”.

La narrativa americana, specialmente il modo di realizzare action, sembra unirsi a una visione più orientale. C’è qualcosa nella scelta delle coreografie del combattimento, così come anche nella “visione” scenica del nuovo mondo, che è molto più affine a un action più orientale. Cosa che comunque coincide col gusto estetico dalla quale la saga stessa ha origine. Per intenderci, un occhio americano che viene strizzato ai Kaijū.