Songbird, recensione: il Covid come occasione secondo Michael Bay
*Girato nel pieno dell'epidemia del 2020 a Los Angeles e prodotto da Michael Bay, Songbird è un film terribile, che ha come unica idea e scopo lo sfruttamento del virus in tempo reale.*
Songbird è un film tutto incentrato sul Covid. Non il Covid-19, bensì il 23, dato che è ambientato in un futuro distopico vicinissimo (corre l'anno 2024) in cui una variante del virus chiamata Covid-23 ha imposto un lockdown durissimo, mantenuto con pugno militare dalle autorità sanitarie.
Siamo nelle strade di una Los Angeles deserta in cui tutti sono chiusi in casa perché la variante è così aggressiva e mortale da uccidere in poche ore il paziente (non dicono proprio che sciolga il cervello, ma siamo lì). Seguiamo Nico (il KJ Apa di Riverdale) è uno dei pochi fortunati munie, ovvero gli immuni che possono stare all'aperto senza protezioni.
Come il Covid-19, solo peggio
Ex assistente paralegale e studente di legge, il ragazzo gira in bici con il suo braccialetto giallo lasciapassare per le strade deserte di Los Angeles, consegnando pacchi a ricchi che ancora possono permettersi acquisiti e commerci. È diventato un rider, il nuovo alter ego proletario al cinema. Ama una ragazza di nome Sara (Sofia Carson) che però non ha mai visto dal vivo, perché si sono conosciuti dopo lo scoppio della pandemia. Il loro è tutto un rapporto fatto di videochiamate e messaggi, come quello di qualsiasi altro losangelino confinato a casa.
Il lockdown da preventivo è divenuto marziale: ogni mattina bisogna misurarsi con il proprio cellulare la temperatura: chi fallisce il test, che abbia una semplice febbre o meno, viene portato nelle misteriose zone di quarantena (per cui il film non spenderà più di un paio di panoramiche dall'alto) da cui nessuno esce, vivo o morto che sia.
Questi due paragrafetti costituiscono la quasi interezza della trama di Songbird, un film scritto di getto da Adam Mason e Simon Boyes durante il marzo 2020, con l'evidente scopo di sfruttare l'evento pandemico. È semplice pronosticare come nei prossimi anni vedremo un gran fiorire di titoli ispirati dalla pandemia e dalle sue ripercussioni sociali, ambientali, psicologiche. Boyes e Mason non sono interessati a niente di tutto ciò: vogliono cavalcare l'argomento del momento, il Covid-19, finché è di tendenza.
Michael Bay produttore tuttofare
La pandemia è al centro del film, senza che vi si costruisca un discorso sopra. Viene solo peggiorata per dare quel minimo di conflitto narrativo necessario a tenere in piedi una storia che usa un canovaccio collaudato da Michael Bay negli anni.
Lui eroe piacente e pronto a combattere per i suoi ideali vuole salvare lei, bella ragazza mora e determinata che non perde mai la sua delicatezza e mai acquista una sua specificità. Difficile non notare come Sofia Carson abbia il medesimo fenotipo di Megan Fox. Non manca nemmeno il fantomatico "shialaboefing", l'immancabile passaggio su cui molto hanno ironizzato in passato fan e detrattori del regista in cui il protagonista di un film di Bay ripete ossessivamente la parola "no" quando le cose si mettono male: nonononono.
D'altronde qui Bay fa molto più che metterci il denaro e produrre. Per dare una mano al progetto si occupa di dirigere le scene d'azione, con una riduzione di magnitudo che forse è l'aspetto più interessante del film: niente esplosioni, niente Transformer, solo un ragazzo che pedala velocemente per le strade deserte pensando in egual misura al suo passato e al suo futuro.
Sperimentale ma mercenario
La promozione del film, il suo stesso focus non va mai oltre il concetto di un film sulla pandemia girato durante la pandemia. Songbird va fiero delle sue riprese svoltesi tra luglio e agosto del 2020, sfruttando le strade veramente svuotate, con attori sempre distanziati e una troupe mai superiore a 40 presenze giornaliere.
La vera domanda è: qui prodest? Questo impegno in presa diretta non ha dietro né uno sforzo documentaristico né qualcosa d'impellente da comunicare al mondo. Uscito a dicembre 2020 negli Stati Uniti in versione on demand, già alla sua uscita nelle sale italiane Songbird sembra un progetto datato, appesantito da una trama anonima e da attori davvero pessimi (che ci fa Demi Moore in questo disastro?). Ha così poco da dire, sfrutta così mercenariamente un fenomeno globale drammatico che senza la pandemia come elemento favorevole al marketing, non avrebbe avuto motivo d'esistere.
Se è stato un esperimento, non si capisce a che fine, a parte quello evidente di tentare di cavalcare l'onda. Nessuno, hanno annunciato orgogliosi i produttori, si è ammalato sul set. Meno male, perché Songbird non vale francamente il rischio.
Voto
Redazione