Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli, recensione: Marvel si dà alle arti marziali
*Con uno sguardo rivolto al mercato cinese e chiare ispirazioni dal mondo del wuxia e delle arti marziali al cinema, Marvel tira fuori una origin story capace talvolta anche di sorprendere.*
Chi già frequentava le sale cinematografiche tra la fine degli anni '90 e l'inizio del Nuovo millennio non rimarrà sorpreso da quanto accade in apertura di Shang-Chi, il nuovo tassello del MCU che introduce una new entry cinese nel affresco in continua evoluzione del mondo Marvel. Sarà invece interessante assistere alle reazioni di quanti non hanno vissuto la grande (ma effimera) invasione del wuxia al cinema in Occidente. Un'ondata di arti marziali altamente coreografate, tra combattimenti mortali e danza, che sembrò destinata a cambiare i destini del cinema action anche in Occidente, ma si esaurì dopo qualche anno dal boom di La tigre e il dragone di Ang Lee (2000).
Nel prologo di Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli vediamo il temibile Mandarino (Tony Leung, altro volto leggendario di quell'epoca di dominazione asiatica al botteghino) affrontare la futura moglie Jiang Li (Fala Chen) in un combattimento fatto di colpi mortali e sguardi suadenti, di evoluzioni aeree in slow motion e calci volanti fulminei. Un'apertura repentina di genere nei primi minuti forse un po' azzardata, quando ancora il pubblico non ha avuto modo di calarsi nelle articolate vicende familiari che circondando Shang-Chi, il protagonista di una origin story della quarta fase Marvel più ambiziosa del previsto.
Il soft power di Marvel nella Hollywood che guarda a Oriente
Le premesse del film erano chiarissime: introdurre un nuovo eroe che potesse al contempo aumentare il grado di multietnicità dell'universo Marvel e sedurre il sempre più ricco box office cinese, modellando la pellicola affinché passasse senza intoppi tra le maglie della censura di Pechino. Considerando questa genesi, Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli è un film ben più ardito del previsto, confermando non solo la capacità di Marvel di tirare fuori film accattivanti e riusciti anche da progetti con meno appeal hollywoodiano, ma anche la voglia di prendersi qualche rischio, seppur sempre calcolato. Per esempio quello di far digerire al riluttante pubblico statunitense un film sottotitolato almeno per un terzo, quando i protagonisti parlano in cinese: una scelta che fino a qualche anno fa sarebbe stata impensabile e che racconta molto degli equilibri di potere politici e cinematografici in continua evoluzione a Hollywood e dintorni.
La storia di Shang-Chi, ex ragazzino killer che si nasconde dal temibile padre facendo lavoretti a San Francisco insieme all'amica Katy (Awkwafina), è attentamente calibrata per tirare fuori il meglio da ciascuno degli interpreti. Un campione di arti marziali come Simu Liu apporta al film una fisicità nei combattimenti sinora mancata nell'universo Marvel, anche se in tutta onestà siamo ancora ben lontani dall'altissimo standard "marziale" del cinema di genere asiatico. Con le mani legate dall'impossibilità di mostrare contenuti davvero violenti, Marvel ha scelto di aumentare la spettacolarità dei tanti combattimenti in Shang-Chi ricorrendo a un montaggio serrato e a molti ritocchi in CGI, che aumentano la fluidità dell'azione ma ne limitano anche il realismo, tanto da arrivare alla situazione paradossale di poter dire che quelli visti nel film sono al contempo i migliori e i peggiori combattimenti visti di recente nel MCU.
Arti marziali e recitazione: la sfida vinta di Simu Liu
Memore delle pecche delle origin story della prima ondata di Avengers, Kevin Feige ha orchestrato il film in modo che Simu Liu possa dare il meglio dal punto di vista della fisicità, ma sia sempre circondato da attori di livello che lo aiutino sul versante emozionale. Per chi conosce già Tony Leung, la sua capacità di trarre una figura paterna spaventosa e al contempo fragile dal personaggio del Mandarino è quasi scontata: con un villain abbastanza transitorio per le mani, Leung si conferma un attore in grado di dare spessore a qualsiasi personaggio. Grazie al suo aiuto, a quello di Michelle Yeoh e al notevole apporto comico e umano di Awkwafina, Simu Liu riesce a rendere credibile e abbastanza carismatico il suo ruolo di ragazzone versato nelle arti marziali, scottato da un passato violento e deciso a non farsi schiacciare dalle pesanti eredità paterne in una vita vissuta secondo le convenzioni scelte dagli altri.
Qualche pecca tipica dell'universo MCU rimane. La seconda parte del film risulta strascicata e appesantita dalla solita volontà di aumentare la magnitudo dell'azione e della minaccia alla sicurezza dell'umanità, mentre le scelte dei personaggi rimangono sempre molto controllate e imbrigliate. Se il personaggio di Katy è per certi versi sorprendente, quello di Xialing fa emergere con chiarezza tutta la difficoltà di casa Marvel nel ritrarre personaggi femminili all'altezza della controparte maschile.
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Redazione