Spider-Man: No Way Home, recensione: una partita pericolosa ma vincente
Tom Holland torna su schermo con un film che gli consente finalmente di connettersi all'essenza del personaggio, in una produzione faraonica che accelera al massimo sulla leva delle emozioni, dalla nostalgia alla commozione.
Quando un film può permettersi di capitalizzare su ben 5 titoli precedenti e un intero universo crossmediale, può accelerare a piacimento sulla strada dell'emozione e delle possibilità. Mi spiego meglio: No Way Home è un film così ricco di eventi impattanti sul pubblico affezionato che può permettersi di cominciare a infilare camei, colpi di scena e strizzatine d'occhio al passato cinematografico dell'Uomo Ragno a cinque minuti dall'inizio della pellicola.
Riallineare Peter Parker
Tanto di ciò che viene utilizzato e speso viene di fatto consumato, forse in maniera non troppo lusinghiera: senza fare spoiler, alcuni ritorni già annunciati e altri da scoprire non sono all'altezza del passato su cui capitalizzano e sono mercenari rispetto alla storia del qui e dell'ora. Forse è anche giusto così. Il fine ultimo però sembrerebbe nobile: riallineare il Peter Parker di Tom Holland, per molti versi anomalo rispetto ai suoi predecessori e alla controparte cartacea, al destino e all'essenza del suo personaggio.
Sul lungo periodo quella giocata da No Way Home è una partita pericolosissima, come ogni volta che qualcuno (nelle storie Marvel o ai piani alti delle major che si spartiscono i diritti) si mette a scombussolare le linee temporali, anche fosse per il più nobile dei fini. Sarà interessante capire per esempio se questa pellicola sul lungo periodo manterrà la forza emotiva che dimostra in prima visione, quando si rivela capace di strappare risate e applausi a scena aperta dal pubblico, come accaduto in alcune scene divenute piccoli cult in Avengers: Endgame.
Sony promuove Tom Holland
In questo senso, No Way Home è un'enorme promozione per Tom Holland, a cui Sony (con Marvel) tributa un film personalissimo e davvero importante, riconoscendogli uno status che a Robert Downey Jr sono occorsi 12 anni e quasi una decina di pellicole per raggiungere.
Nonostante veda tanti villain cult arrivare dal passato per affollare il suo presente, No Way Home è un film concentrato come mai prima d'ora (almeno in tempi recenti) sul Peter Parker di Holland, che alla fine (o finalmente) si trova a dover compiere scelte, ad ascoltare frasi, a commettere errori e subire traumi che sono fondativi per il suo personaggio. Dopo aver perso la figura di Tony Stark, Peter trova in questo film altre guide importanti, che gli rivelano in chiaroscuro molto di sé stesso, a partire da Doctor Strange. Questo non impedisce a Peter di compiere scelte sbagliate o vedere il suo sistema di valori e priorità andare in crisi: così come i due Spider-Man prima di lui, dovrà attraversare una crisi d'identità per capire che non è possibile vivere una vita a metà tra Peter Parker e Spider-Man, tra ordinario e supereroe.
A metà tra Sony e Marvel, tra passato e futuro
Questo No Way Home è una bizzarra via di mezzo tra un rodatissimo film MCU e una pellicola in stile Sony. Dall'universo Marvel attinge la magnitudo e la sdrammatizzazione tipica delle pellicole post Guardiani della Galassia, il diluvio di easter egg e anticipazioni future, rimanendo però in una dimensione molto terrestre, molto newyorkese, persino molto natalizia. Dalla tradizione Sony arrivano non solo una fiumana di personaggi e riferimenti al passato storico dell'Uomo Ragno, ma anche una pellicola che si rifà in maniera molto netta al mondo dei fumetti, stoppando in parte l'ossessione per la continuity che MCU coltiva fino all'ossessione. No Way Home riesce ad avere una dimensione contenuta e racchiusa che è mancata a tutti i film più recenti di casa Marvel.
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Redazione