The Stranger, recensione: un thriller rude e oscuro come l’Australia
La seconda prova registica dell’attore Thomas M. Wright è un thriller australiano. La recensione di The Stranger.
Nel suo secondo lungometraggio da regista Thomas M. Wright punta molto, molto alto: i principali punti di riferimento di The Stranger sembrano infatti essere Prisoners di Denis Villeneuve e i thriller procedurali di David Fincher. Wright non ha il carisma e nemmeno i mezzi necessari per muoversi su quei livelli, ma nell’adattare un’incredibile storia vera australiana di crimine, indagini e redenzione ci mette un’attenzione, una cura, un’estetica che in progetti molto più ambiziosi sembrano spesso mancare. Più di tutto a impressionare in The Stranger è come riesca a restituire l’atmosfera plumbea e opprimente di certe produzioni scandinave e nordeuropee pur essendo ambientato nel continente australiano, restituendo la rudezza di certe facce australiane misteriose, consumate, di certi caratteri schivi e di poche parole. Forse aver lavorato in qualità di attore a una produzione come Top of the Lake, la serie poliziesca cult diretta da Jane Campion, ha messo Wright nella posizione giusta per poter sintetizzare visivamente due modi geograficamente differenti di raccontare vite aspre, dure, plasmate dalla criminalità e dalla violenza.
La trama e l’ispirazione di The Stranger
Protagonisti di questa storia sono due uomini barbuti, silenziosi, di poche parole e con un’evidente familiarità con il malaffare, interpretati dagli attori Joel Edgerton e Sean Harris. Il primo è Mark, un faccendiere che tiene le fila di una misteriosa organizzazione, a medio livello, facendo da referente tra i gregari e i piani alti. Il secondo è Henry, un uomo spiantato e dal passato misterioso, che è entrato per caso a contatto con uno dei gregari dell’organizzazione e si lascia tentare della possibilità di farne parte. Non è ben chiaro quale tipo di losco affare sia al centro dei traffici di questo giro criminale, ma nemmeno quale sia il vero interesse di Henry in merito: anticipare di più sulla trama di The Stranger rovinerebbe l’esperienza di visione di un film cupo e che dipana la sua ragnatela d’intrighi a poco a poco.
Il film si apre con una voce fuori campo che descrive un esercizio di respirazione per calmare ansia e stress: inspirare aria pura e immaginare di espirarla nera, piena delle ansie e delle angosce che inquinano la mente e il corpo. È una sintesi perfetta dei traumi e delle angosce che divorano i due protagonisti dal di dentro, senza mai esplicitarsi a parole. The Stranger rende percepibile l’ansia esistenziale a cui i protagonisti non possono sottrarsi - per ragioni che risiedono nel loro passato e nel loro presente - attraverso un continuo foreshadowing sonoro e visivo. Forse il film costruisce un po’ troppa tensione rispetto a quella che è poi la sua rivelazione finale, che per giunta è un po’ troppo dilatata nel lungo epilogo per risultare efficace quanto avrebbe potuto essere.
L’Australia scandinava di The Stranger
A sorprendere e a funzionare è però il gioco di risonanze e non detti che si costruisce tra Henry e Mark. I due sono “stranger”, sconosciuti uno all’altro e a parole non si dicono nulla, ma si avvicinano inevitabilmente percependo nello sconosciuto al loro fianco lo stesso buco nero che li consuma dentro. Sean Harris e Joel Edgerton padroneggiano molto bene questa dinamica più fisica che interpretativa. Li accompagna nella progressiva costruzione di quest’atmosfera particolare di fiducia e sfiducia insieme un film che si muove su una tensione bassa ma continua, che scuote i nervi, trasformando mosse o parole banali in un sinistro eco degli eventi ancora a venire. In quest’Australia molto uggiosa e stranamente scandinava si consuma una storia dall’antefatto puramente criminale che pian piano vira al poliziesco, che saprà deliziare quanti amano il genere thriller secco, asciutto, essenziale, brutale quanto necessario.
Voto
Redazione