The Whale, recensione: l’obeso e ottimista Brendan Fraser è protagonista di un film perfetto
Darren Aronofsky sarà il grande favorito per il Leone d’Oro grazie a The Whale, un film perfetto con protagonista un Brendan Fraser nel ruolo del suo riscatto.
The Whale è un film più che straordinario. È una di quelle pellicole che guardi e già a metà visione sai di star vedendo qualcosa che lascerà un segno. Lo farà di certo nella carriera dell’attore Brendan Fraser, pronto a prendersi la rivincita dopo anni non facili con il ruolo della vita. A leggere la trama del nuovo lungometraggio di Darren Aronofsky si potrebbe superficialmente pensare che sia la trasformazione “estrema” fisica di Fraser a metterlo sotto i riflettori, invece è solo il punto di partenza. Sin dall’annuncio della presenza in concorso a Venezia, c’era stata molta curiosità per Fraser nei panni di Charlie, un insegnante di scrittura creativa che lavora online e non lascia mai la sua casa in quanto gravemente obeso: pesa infatti 272 chilogrammi.
È rarissimo che un film metta al centro un personaggio all’estremo della scala dell’obesità ed è forse un caso unico vedere come venga gestito: senza stereotipi, senza inutili drammi, con grande lucidità ed emozione. Certo l’aspetto di Fraser, il trucco che gli trasforma il corpo attirano l’attenzione, ma la sua performance fenomenale va molto oltre lo “shock visivo”. Charlie è un essere umano meraviglioso: una persona che si è rivestita di grasso perché incapace di superare un trauma subito, ma che al contempo sa essere incredibilmente ironica, ottimista, solare. Aggettivi strani da usare parlando di un uomo consapevole che la sua fine, autodistruttiva e intenzionale, è ormai vicina. Il protagonista di The Whale è stato travolto da un’amore totalizzante, che lo ha portato ad allontanarsi dalla moglie e dalla figlie Ellie (Sadie Sink di Stranger Things), quando questa era aveva solo 8 anni.
La trama di The Whale
Ora che sa di avere pochi giorni di vita Charlie vuole mettersi in contatto con Ellie, fare il mondo che la ragazzina esca dalla prospettiva cinica e autodistruttiva in cui è, posizione in cui ha giocato un ruolo non da poco proprio l’abbandono paterno. The Whale è interamente ambientato nell’appartamento di Charlie nella sua ultima settimana di vita e vede il padre farsi strada verso il cuore della figlia, che lo ferisce con parole taglienti e gesti di grande crudeltà. Ci sono un altro pugno di personaggi che fa visita a Charlie, incapace a porre fine alla sua spirale distruttiva, più interessato a salvare la figlia da sé stessa che a salvarsi.
La trama di The Whale lo fa sembrare un film altamente drammatico e di certo affronta temi non da poco: la genitorialità, l’amore, la morte, la religiosità, l’amicizia, la sincerità come valore costitutivo delle relazioni umane. Eppure è un film capace di donare grande catarsi rispetto ai sentimenti negativi, una delle rare pellicole che infonde speranza nel domani ma soprattutto negli esseri umani, arrivando a dire che “nessuno è incapace di amare”. Riesce a farlo senza cadere nel sentimentalismo, senza vedere il mondo attraverso le lenti rosa di una positività staccata dalla realtà. Semplicemente disinnesca alcuni meccanismi di un cinismo di cui spesso il cinema d’autore si arma, scambiandolo per serietà.
Il riscatto di Aronovsky e Fraser
Tra gli altri miracoli di questo film c’è quello di restituirci un Darren Aronosky (The Wrestler, Mother!) in forma smagliante, praticamente irriconoscibile rispetto alle sue prove passate, forse al suo film migliore. Adattamento dell’omonima opera teatrale a cui lavorava da 10 anni, The Whale è un film girato con un pugno d’attori durante la pandemia, in una sola location in cui è stato ricostruito il piccolo appartamento di Charlie. Eppure non proviamo né un senso di claustrofobia né di staticità, perché le storie e i sentimenti dei personaggi ci regalano tutto il dinamismo necessario. Il merito è di un regista che per una volta lascia da parte la smania di farsi riconoscere come autore, rinunciando ai virtuosismi che in passato hanno rovinato il suo cinema, regalando una regia attenta, curata, misurata. Il risultato è il film sogno di ogni produttore: autoriale abbastanza da ritrovarlo presto agli Oscar ma adatto trasversalmente a tutto il pubblico, a cui per giunta propone una varietà di temi “importanti” davvero impressionante.