When You Finish Saving the World, recensione: il talento narcisista di Finn Wolfhard
L’attore che interpreta Mike in Stranger Things si conferma un ottimo interprete, capace di tenere testa a Julianne Moore in una gara di narcisismo che segna il brillante esordio alla regia dell’attore Jesse Eisenberg.
Nel suo natio Canada è appena diventato maggiorenne, eppure a 19 anni d’età Finn Wolfhard - l’attore il cui volto associamo a Mike di Stranger Things - è già molto più di un astro nascente del cinema statunitense. Scorrendo la sua filmografia ci sono blockbuster con Ghostbuster: Legacy e i due capitoli del remake del nuovo IT di Andy Muschetti (in cui interpreta Richie da piccolo). Ora si sposta nel territorio indie statunitense e lo fa da protagonista dell’esordio alla regia dell’attore Jesse Eisenberg. When You Finish Saving the World è una commedia brillante nel ritrarre in maniera acuta e talvolta feroce una madre e un figlio consumati dal loro narcisismo.
La trama e l’ispirazione di When You Finish Saving the World
When You Finish Saving the World nasce da una confessione a cuore aperto e vagamente nevrotica fatta dal protagonista di The Social Network durante un spettacolo comico. La storia di come il giovane Jesse tentò di conquistare la futura moglie attivista politica non sapendo nulla delle cause sociali di cui lei parlava è poi diventata un audiolibro e infine un film da lui scritto e diretto; l’esordio dell’attore dietro la cinepresa. Prodotta da A24, la pellicola è una commedia che dimostra un ottimo potenziale di tutti i partecipanti, davanti e dietro la cinepresa. La pellicola è capace di incarnare sia il trend crescente di giovani attori che si mettono dietro la cinepresa sia di donare un nuovo titolo al racconto delle adolescenze nevrotiche coronate da un rapporto a dir poco conflittuale con la figura materna. Viene da citare Lady Bird di Greta Gerwig per come Ziggy (Finn Wolfhard) si dimostri egocentrico, inconcludente e narcisista, ma nel film di Eisenberg l’attitudine discutibile del protagonista è il mero riflesso di quella materna.
When You Finish Saving the World infatti gioca sull’incomunicabilità tra una madre e un figlio entrambi completamente assorbiti dal proprio mondo e dimentichi l’uno dell’altro o di qualsiasi altro essere umano oltre sé stessi e la propria ossessione. Sono entrambi inconsapevolmente impegnati a cercare l’affetto di un estraneo per ovviare alla frustrazione di non essere capiti vissuta in famiglia. In realtà è difficile definire famiglia quella che Evelyn (Julianne Moore) ha creato col marito e il figlio Ziggy. I tre vivono insieme vite solitarie, chiusi nelle loro stanze e nelle loro realtà. Sono completamente privi di spirito familiare, ognuno assorbito nel proprio sé.
Ziggy è un efficace summa dell’era edonistica e orientata al business degli streamer: tutta la sua vita ruota attorno alla sua community di 20mila fan a cui canta smielate ballad per avere in cambio donazioni. Ziggy vive nel mito di sé stesso, con un guardaroba fatto del suo merchandise, incapace di finire una frase di senso compiuto senza citare il proprio canale streaming.
Finn Wolfhard tiene testa a Julianne Moore
La madre in apparenza sembra una donna ben più completa e prodiga. Evelyn lavora giornalmente a un rifugio per donne vittime di violenza che ha costruito con le sue mani. La sua missione di salvare il mondo è giornalmente affrontata con grandissima, eccessiva serietà, salvo poi essere incapace di essere veramente empatica e interessata agli altri. Non è nemmeno in grado di costruire il benché minimo rapporto umano con le proprie colleghe e con il figlio. La serietà dell’impegno di Evelyn e l’importanza delle cause per cui lotta nascondono un narcisismo non inferiore a quello di Ziggy.
Il film li vede entrambi alle prese di un amore impossibile: il ragazzo verso la compagna woke e politicamente impegnata che vorrebbe conquistare, la madre affascinata da un ragazzo ospite del rifugio con la madre che vede sempre più come il figlio ideale, da plasmare a suo piacimento. In ultima istanza però sono veramente innamorati solo di sé stessi, alla ricerca di qualcuno che ammiri quel che fanno e l’immagine di sé che proiettano.
Il risultato è ovviamente disastroso per entrambi, ma risulta in una brillante commedia in cui Finn Wolfhard si muove come un consumato attore al fianco di un’irresistibile Julianne Moore tutta frasi sussurrate e disciplina sterile, salvo poi seguire i suoi disastrosi impulsi egoistici tanto quanto il figlio.
Voto
Redazione