A Star is Born
In un periodo storico in cui Hollywood si dimostra priva di idee, e capace perlopiù di realizzare prodotti standardizzati e prevedibili dal punto di vista produttivo (remake, versioni in carte e ossa di cartoni animati del passato, cinecomics etc...), anche il grande pubblico dei nuovi anni 2000 non poteva che meritare (secondo il ragionamento delle major) una contemporanea versione di una delle favole più amate dal pubblico a stelle e strisce: E' nata una stella.
Il progetto del film nasce dunque a tavolino, con la Warner Bros quanto mai desiderosa di affidare a Clint Eastwood (in vena di musical) e alla sua Malpaso la realizzazione della pellicola. Venuta meno però la disponibilità di Eastwood, la regia è affidata direttamente all'esordiente (dietro la cinepresa) Bradley Cooper il quale, oltre ad essere il regista e il protagonista del film, risulta anche tra gli autori della sceneggiatura. Il ruolo di coprotagonista (ma col tempo sempre più protagonista assoluta della pellicola) è invece affidato a Lady Gaga, che dopo le grandi hit del periodo 2008-2011 ("Paparazzi", "Bad Romance" e "Pocket Face" giusto per citare alcuni brani) si trova a vivere in un ruolo di profonda "riflessione" della sua carriera canora, tra astruse sperimentazioni musicali ed il richiamo del passato che non ritorna (come ben esemplificano i concerti tenuti in giro per il mondo assieme a Tony Bennett, l'ultimo crooner). Non si tratta della prima opera da attrice della cantante di origine italiana, ma è senz'altro in questo "A star is a born" che Lady Gaga assume un ruolo di protagonista assoluta.
E non soltanto. Perché Lady Gaga con la sua partecipazione a questo film è come se marcasse le principali caratteristiche delle pellicola stessa. Sia per quanto riguarda la possibilità di collocarla nella storia del cinema, sia per quanto riguarda lo sviluppo della trama e del personaggio. Per quanto riguarda il primo aspetto (la storia del cinema) non si può non segnalare la profonda vicinanza tra questa versione di "E' nata una stella" e l'omonimo film del 1976 (il soggetto in questione ha conosciuto 4 diversi arrangiamenti: 1937, 1954, 1976 e 2018) in cui Frank Pierson dirigeva Barbra Streisand. Come la Streisand, Lady Gaga è principalmente una cantante che ha successivamente assunto il ruolo di attrice (con quali possibilità di emularla, lo scopriremo solo vivendo). Come la Streisand, Lady Gaga non dispone di canoni di bellezza tradizionali, che il più delle volte nel corso della sua esperienza da cantante ha cercato di celare o acuire attraverso vistosi e copiosi trucchi. Il suo non essere una bellezza "assoluta" rende il personaggio ancora più stimolante, e capace di andare oltre l'apparenza per stupire tutti a suon di acuti. Quando mai capaci di far dimenticare presunte carenze estetiche.
Sul secondo fronte (la sceneggiatura) possiamo ben dire che l'aspetto principale di questo "A star is a born" consiste proprio nel considerare il personaggio di Ally come vero e proprio alter ego della stessa Lady Gaga (all'anagrafe Angelina Germanotta). Se negli ultimi anni infatti Lady Gaga dal trionfo in hit parade si è trovata a lasciare il passo ad altre star della musica, in questo film sembra volersi sfogare se non addirittura recuperare il tempo perduto. Ed è questa probabilmente la caratteristica che rende di interesse il film: la voglia di riscatto di un personaggio che da cameriera di uno strambo bar gay friendly si trova ad assumere un ruolo di icona pop, fino ad aggiudicarsi fama e il Grammy con miglior artista esordiente.
Nel personaggio di Ally dunque vediamo Lady Gaga. Tanto che appare quasi inutile ricordarsi il nome di battesimo della protagonista, perché è proprio lei quella che vediamo sul grande schermo. E i brani che propone (scritti tra l'altro con la collaborazione dello stesso Cooper) risultano essere cantanti in presa diretta, secondo un canovaccio che vede il film come una scusa per esibire le sue indiscutibili doti canore. Lady Gaga assume col passare dei minuti sempre maggiore centralità, pur essendo formalmente un altro il protagonista della vicenda: il cantante country Jackson Maine che rimane stregato dopo un'esibizione di Ally, intenta a cantare stesa su un bancone del bar (nemmeno fosse Massimo Ranieri) una sua versione di "La vie en rose". Il cantante si invaghisce della bellezza imperfetta e del "grande naso" di Ally. Ma soprattutto intravede un grande talento. La lancia, la rende celebre.
Poi, la fatale staffetta. In cui al sorgere del sole (per Ally), si registra il tramonto di un uomo e di un artista (Jackson).
L'aspetto registico è quello che lascia maggiormente a desiderare analizzando il film: rallenti stucchevoli e una certa monotonia scenica palesano le forti carenze di un regista che solo col tempo capiremo quanto ha effettivamente subito la scelta di affidargli questa opera. Così come sul fronte narrativo appaiono oggettivamente mal caratterizzati alcuni personaggi, come il padre di Ally e l'anziano fratello del cantante Jackson Maine.
Ma del resto, siamo nel 2018. Ed il pubblico in sala ha assistito in due ore 15 minuti (troppo) ad una struggente storia d'amore. Tra gli acuti e le canzoni (belle) di un'artista che solo i più attenti osservatori di musica possono definire come "artista in declino". La missione è stata compiuta. Gli studios hanno realizzato l'obiettivo prefissato.
E (sul fronte cinematografico) all'Ovest non si intravede niente di nuovo.