The Alto Knights è un film di mafia all’antica: la recensione della pellicola con un doppio Robert De Niro
È il cinema dei grandi vecchi quello di Barry Levinson e Robert De Niro: fatto con cura, ma del tutto incapace d’innovazione. Per il fan del genere però potrebbe bastare.

Hanno ragione i detrattori di The Alto Knights quando sottolineano che nelle due ore di film scritto da Nicholas Pileggi e diretto da Barry Levinson non c’è una singola riga di copione, un singolo movimento di cinepresa, una singolo composizione di fotogramma che non si sia già vista altrove, probabilmente dentro altre pietre miliari del genere.
Per genere s’intende “film sulla mafia italoamericana che coglie gli Stati Uniti del tutto impreparati a fronteggiarla” con Frank Costello e Vito Genovese come protagonisti della pellicola. Anzi, l’assoluto protagonista della pellicola è Robert De Niro, che si sdoppia per interpretare entrambi i ruoli e anzi, raddoppia la sua permanenza su schermo. Il bello è che molte delle pietre miliari a cui The Alto Knights fa riferimento le ha scritte proprio Pileggi, regalando decenni addietro al re del genere Martin Scorsese sceneggiature come quella di Quei bravi ragazzi. Sarebbe dunque lecito aspettarsi qualcosa di grandioso, giusto?

The Alto Knight non riserva sorprese, ma va bene così
Sì e no. La cifra che distingue i bravi dai grandi sta proprio nella capacità d’innovare e rinnovarsi oltre a una certa età anagrafica che renda più semplice farlo, o tornare ossessivamente su un ristretto set di tematiche e storie, continuando a tirar fuori qualcosa d’interessante in merito. Il più grande merito di The Alto Knights potrebbe essere quello di sbugiardare quanti salutarono The Irishman (l’ultimo grande film sulla mafia americana, non a caso diretto proprio da Scorsese) come una pellicola che non aggiungeva niente a quel filone, senza nulla di davvero impattante da raccontare. Sono passati sei anni da quel film è il finale rimane una delle più strazianti sintesi di una vita riassunta in un pugno di fotogrammi: quella del protagonista “imbianchino” del film, quella di De Niro e quella di Scorsese, ovviamente.
Ecco The Alto Knight vorrebbe avere quella potenza, specie nel film che, curiosamente, s’inserisce alla perfezione in un grande trend del cinema contemporanea che rilegge in chiave ultra cinica il sogno americano. Dopo The Brutalist e I ragazzi della Nickel, quel sogno ci viene ancora una volta raccontato dalla prospettiva di migranti che arrivano negli Stati Uniti e trovano una nazione già depredata delle sue ricchezze naturali, già nelle mani dei ricchi bianchi istruiti e imparentati da loro, che la governano e ne hanno costruito l’assetto affinché vada sempre a loro vantaggio. Senza studi, ricchi solo di una pesante cadenza italiana nel mondo in cui si esprimono in inglese, Frank Costello e Vito Genovese riescono a fare fortuna spremendo l’unico asset rimasto: proprio quel ricco popolo bianco che ancora non ha anticorpi né difese rispetto al loro modo d’intendere la criminalità.

The Alto Knights è la storia di un’amicizia giovanile che viene erosa da ambizioni palesate, negate o taciute, dall’impossibilità per due persone di occupare insieme il vertice di un sistema altamente gerarchizzato come la cupola dei padrini. Uno dei due deve giocoforza chinare il capo e, anche quando lo fa, nell’altro alberga il sospetto che trami qualcosa.
Raccontato in questi termini The Alto Knights sembra portatore di una vis critica rispetto alla società americana che poi nei fatti non ha. Trascina però con sé tutto il pacchetto di tematiche, scene, situazioni e ironia nazionale che uno si aspetta da un film di questo tipo e si apprezza particolarmente in lingua originale, sentendo i protagonisti scivolare continuamente dall'inglese al lessico italiano utilizzato in costrutti statunitensi, specie quando è la rabbia ad avere la meglio.
Un esempio su tutti di un approccio già visto innumerevoli volte: la contrapposizione tra i due boss cresciuti insieme nel quartiere che si rispecchia nelle mogli che si scelgono. Il padrino riflessivo e socialite con un partecipazione al famoso locale Copacabana si prendere in sposa una donna ebrea calcolatrice e astuta quanto lui, mentre il boss vecchio stampo che rimane lontano dalla scena e non ha mai perso il fuoco delle pendici del Vesuvio che gli ha dato i natali s’invaghisce di una donna focosa e passionale come lui, di origini italiane, portando a un divorzio che darà il via all’inizio della fine per l’organizzazione criminale.

The Alto Knights trasforma astutamente la guerra tra famiglie mafiose in una guerra fredda
Il film si apre con il tentato omicidio di uno ai danni dell’altro e con una guerra tra fazioni temuta da tutti (mafiosi, polizia, mogli e figli) ma che non deflagra mai davvero, diventando una sorta di guerra fredda tutta tattica e strategie silenziose. Comprensibile, considerando che tra regista, interprete principale e sceneggiatore l’età media è tale da ricondurre qualsivoglia foga di scene d’azione, sparatorie e violenza a passeggiate al parco, grigliate tra capifamiglia e più miti consigli. The Alto Knights però maschera bene le sue carte e nasconde una certa qual staticità dietro un approccio alla John Le Carré, con i due grandi nemici che si studiano a distanza, mentre i gregari si occupano dell’azione. È forse l’unica cosa che riesce meglio a The Alto Knights rispetto a The Irishman, un po’ fiaccato dalle precarie condizioni di salute di Joe Pesci.
La sceneggiatura del film vorrebbe essere una sorta di partita a scacchi con De Niro che muove sia i bianchi sia i neri, nelle doppie vesti di Costello e Genovese. Dato che i due personaggi non sono gemelli (come accadeva per esempio in Legend con il doppio tom Hardy) non è una scelta poi così giustificabile. De Niro ha già avuto ampiamente modo di dimostrarci di saper interpretare estroversi calcolatori o introversi vittime delle proposte stesse fiammate di passione. C’era davvero bisogno di interpretare entrambi i personaggi nello stesso film? Forse no, ma essendo pensato da e per fan del genere, non è così difficile immaginare perché questa idea solleticasse il regista. Inoltre è il genere di sfida che può convincere uno del calibro di De Niro a scendere in campo. Per un interprete, non importa l'età, è una sfida irresistibile: The Alto Knights esce nello stesso periodo in cui ha affrontato una difficoltà simile anche Robert Pattinson in Mickey 17.
Astenersi spettatori alla ricerca di emozioni forti o novità. Se invece avete voglia di un mafia movie vecchia scuola e ben condotto da gente che potrebbe fare un film simile a occhi chiusi - a cui forse è mancata proprio la voglia di tenerli ben aperti e rischiare di più - allora potrebbe essere perfetto per voi.
Rating: TBA
Nazione: Stati Uniti
Voto
Redazione

The Alto Knights
Cosa rimane dunque di The Alto Knights? Un film fatto con tutti i crismi da persone con decadi d’esperienza ai massimi livelli alle spalle, che non riescono a esprimere nulla di nuovo o davvero incisivo, ma che sanno ripetersi davvero bene. Difficile anche fargliene una colpa, considerando quanto il pubblico di oggi mandi sempre lo stesso segnale: non vogliamo cose nuove, vogliamo ripetizioni di ciò che conosciamo e ci è piaciuto. Barry Levinson dà esattamente questo a un pubblico che, con tutta probabilità, gli è anche vicino anagraficamente. Certo sarebbe una splendida occasione per rispolverare The Irishman di Martin Scorsese e capire la portata di quel film testamento.