Amsterdam, recensione: le star di Hollywood combattono i nazisti USA in un film fallimentare

David O. Russell è tornato ma forse il suo momento magico è definitamente concluso: Amsterdam non solo non convince, ma deraglia sin dalla prima scena. La recensione.

di Elisa Giudici

È con una buona dose di costernazione che si assiste al deragliamento di Amsterdam fuori dai binari del buon cinema e del buon intrattenimento. Deragliamento non è nemmeno il termine esatto, perché sin dalla primissima scena il film trasmette una fortissima sensazione di sbilanciamento e fallacia, fatto piuttosto raro anche tra film poco riusciti. Non esce dai binari del buon cinema: sembra proprio non riuscire nemmeno a immettervisi.

È come se il nuovo film di David O. Russell, tornato a dirigere un lungometraggio dopo ben 7 anni dall’ultimo Joy, fosse incapace di trovare il tono e l’approccio giusti per funzionare, inseguendolo disperatamente per oltre 2 ore, incontrandolo solo per tratti molto rarefatti.

Stringe quasi il cuore vedere un regista all’inseguimento di un ritorno importante e di una possibile corsa agli Oscar incappare in un fiasco così conclamato, con stroncatura pressoché unanime presso la critica. Russell inoltre è una figura che per certi versi non ispira nemmeno simpatia, che molti amano stroncare**.** Un po’ perché la sua figura umana spesso ha fatto i conti con scandali che poco hanno a che fare con la gentilezza e l’umanità che chiede a tutti di dimostrare nei suoi film, un po’ perché è un regista figlio di un momentum. Russell infatti viene accusato da molti di essere ampiamente sopravvalutato, avendo goduto enormemente di un momento particolarmente propizio a film come quelli da lui diretti e del rapporto con alcune star (in primis Jennifer Lawrence). Considerando i suoi primi lavori sarebbe ingeneroso definire il regista di American Hustle e Il lato positivo un incapace, ma è difficile contro-argomentare a quanti sostengono che abbia raccolto ben più di quanto abbia seminato in termini di fama, soldi e Oscar.

Cosa c’entra questo con Amsterdam? Molto. Questo film infatti è un ritorno che mira a confermare il suo talento e tragicamente offre un’ottima argomentazione ai detrattori del cinema di Russell. “Tragicamente” perché il regista sceglie una storia molto particolare e non così semplice per il suo ritorno, perché arruola alcune delle star più amate (e alcune delle più brave), perché sì, sbaglia tutto, ma non per incapacità quanto piuttosto per qualche misterioso disallineamento tra ritmo, montaggio e voice over (multipli, fastidiosissimi), che tirano fuori il peggio dal suo film.

La trama di Amsterdam: il complotto del Business Plot

Il disastro Amsterdam ha radici lontane e alcuni, forse non a torto, citano la sempre più pervasiva influenza del cinema di Adam McKay (Don’t Look Up, La grande scommessa) su un certo cinema americano. Qui Russell vuole essere esplicitamente politico, ben più che in passato. Per questo motivo, sceglie di raccontare una storia ambigua e oscura legata agli Stati Uniti: quella del tentativo di colpo di stato noto come Business Plot. Nel 1933 a New York un gruppo di borghesi benestanti pianificarono e finanziarono un piano il cui obiettivo finale era quello di destituire il presidente Franklin D. Roosevelt. All’élite borghese non andavano giù le sue politiche a favore dei più poveri, prostrati dalla Grande Depressione del 1929 e dal picco di disoccupazione raggiunto proprio nell’anno in cui il film è ambientato. Per questo tentarono di direzionare il voto e gli umori di mezzo milione di veterani di guerra, guardando con una certa simpatia a regimi dittatoriali allora giovanissimi, come la Germania di Hitler e l’Italia di Mussolini.

Gli storici concordano che il complotto venne davvero organizzato e finanziato, ma è difficile dire quanto sia stato messo in atto e quante possibilità avesse di avere successo, perché di fatto venne scoperto e denunciato nelle sue fasi embrionali. Il parallelo con quanto successo a Capitol Hill - un tentativo di colpo di stato in seno a Washington D.C. sulla cui interpretazione c’è una profondissima frattura ideologica negli Stati Uniti di oggi - è evidentissimo, anche perché in Amsterdam vediamo una vivace protesta dei veterani proprio nella capitale statunitense, con tanto di Robert De Niro che arringa la folla esortandola a chiedere al governo ciò che suo. Considerando che il suo personaggio è quello che storicamente si mirava a plagiare per guidare il complotto (quel generale Butler che poi fece emergere la cospirazione), è evidente come Russell tenti di tracciare un parallelo.

Non sarebbe però esagerato dire che, esattamente come Aaron Sorkins, Russell forza parecchio la mano alla storia. Nei fatti nel suo film solo il personaggio di De Niro e quello di Ed Begley Jr. sono realmente esistiti e tutti gli omicidi, gli inseguimenti, i simboli nazisti e le cliniche dall’agire sospetto sono un di più preso da altri eventi e altri luoghi o direttamente inventato. Da qui l’avvio non troppo convincente del film che ci dice che “alcuni dei fatti che vedrete sono realmente accaduti”…viene subito da chiedersi quali, per questo mi sono presa il tempo di rispondere a questa domanda.

Amsterdam punta su un bizzarro triangolo amicale

Tralasciando il giudizio su questa manipolazione della storia - né nuova né inconsueta, ma qui particolarmente insistita e forse un po’ tendenziosa - rimane il film in sé, che vede al centro un trio di protagonisti interpretati da star di un certo livello. Christian Bale, Margot Robbie e John David Washington sono il cuore narrativo e sentimentale del film, un triangolo che ha tutte le premesse e sottintesi del rapporto poliamoroso, bohémien, promiscuo e comunitario negli scandalosi e libertini anni ‘20. Il tutto calato in un film pudico e castigatissimo in cui tre sconosciuti sexy e dall’animo ribelle vivono insieme ad Amsterdam la stagione più libera e felice della loro vita, ovviamente in termini puramente amicali. Sigh. Non è l’unico punto di un film che per premesse avvicina spesso territorio sensuali e del kink, salvo poi farlo in termini puramente idealizzati (vedi l’ossessione per le cicatrici del personaggio interpretato da Andrea Riseborough).

Bale e Washington interpretano Burt e Harnold, entrambi reduci della Prima guerra mondiale. Il primo è un medico che aiuta gli ex soldati sfigurati e invalidi come lui, il secondo un afroamericano che lotta per i diritti dei commilitoni in una nazione fortemente razzista. Amsterdam fa avanti e indietro tra il 1933 e i due decenni precedenti per raccontarci la storia di come Burt e Harnold si siano incontrati al fronte, di come siano rimasti feriti e siano stati curati da Valerie (Margot Robbie), un’infermiera con contatti nei servizi segreti e una grande passione per l’arte e la fotografia. Dopo un periodo da sogno nella stimolante e libera Amsterdam, i tre si separano e rientrano negli Stati Uniti. Siamo nel pieno della Grande Depressione, ma Russell tenta un tono allegro e scanzonato, guidando i suoi reietti nell’indagine su un omicidio della figlia di un ricco magnate avvenuto sotto gli occhi dei protagonisti, che verranno incolpati di quanto successo.

Questa è solo la punta dell’iceberg di un film ricolmo di sotto trame e star di seconda fascia, che procede a ritmo folle inserendo tantissimi filoni narrativi che appaiono via via più superficiali, appesantendo il film senza apportare nulla. Penso per esempio al duo di poliziotti interpretati da Matthias Schoenaerts e Alessandro Nivola, il cui apporto alla trama è sostanzialmente quello di rallentare il ritmo e appesantirla. Diverso il discorso per l’infermiera interpretata da Zoe Saldaña e la moglie crudele e manipolatrice di Andrea Riseborough; due personaggi femminili sottoutilizzati ben più interessanti e sfumati di quello che si ritrova a gestire Margot Robbie, che avrebbero meritato ben altro spazio e altro film.

Non è finita l’incredibile carrellata di star che Russell riesce sempre ad attirare nei suoi progetti. C’è il già citato Robert De Niro, a cui non viene dato molto da fare se non celebrare sé stesso e il suo ruolo tipo. C’è anche la cantante Taylor Swift in un piccolo ruolo il cui impatto è completamente vanificato dal fatto che la sua scena cult è stata inserita nel trailer ed è divenuta un meme ancor prima che il film arrivasse in sala. Ci sono anche Rami Malek (con la sua recitazione insistita) e Anya Taylor-Joy (radiosa e deliziosamente malevola).

Cos’è dunque Amsterdam, oltre a una parata di star messa insieme per non farci ricordare Jennifer Lawrence? Verrebbe da dire un film molto meno ingenuo di quello che vuol far credere. Uno che prende un evento storico e lo manipola ai fini del proprio messaggio (politico, non cinematografico), uno che tradisce l’epoca storica stessa che racconta, attenuando il rigore economico e azzerando il risvolto relazione e sessuale che le premesse suggeriscono. Solo la Hollywood del 2022 poteva partorire un film su una relazione a tre in cui neppure si allude a qualcosa che vada oltre l’amicizia e il tenersi a debita distanza fisica.