Ant-Man and the Wasp
La diatriba sulla “serializzazione” del cinema messa in atto dalla Disney/Marvel con il suo MCU, non accenna minimamente ad estinguersi; tuttavia, al netto di queste discussioni c’è una formula che, stando ai numeri, conferma la strategia della casa delle idee con un pubblico sempre molto partecipe ad ogni uscita.
In questo filone perfettamente pensato, si innesta però questo Ant-Man and the Wasp, seguito di quell’Ant-Man che riscosse un grandissimo successo ormai tre anni or sono.
Un capitolo che seppur stilisticamente rientra nei precisi canoni della serie, a livello narrativo e di timeline, è sicuramente un progetto unico.
“PICCOLE” QUESTIONI FAMILIARI
Di fatto, con l’avvento di Infinity War, la totale assenza di Ant-Man e Wasp, ha portato alla mente dei tanti appassionati svariati tipi di domande. In questo capitolo della saga, il regista Peyton Reed e gli attori Paul Rudd ed Evangeline Lilly vi daranno tutte le risposte necessarie.
Come già si sapeva, questo film è ambientato tra gli eventi di Civil War e quelli di Infinity, con il folle titano che deve ancora abbattere la sua ira sul pianeta terra. Proprio attraverso i circa 120 minuti che compongono la pellicola, andremo a scoprire alcuni dettagli importanti (e non dimenticate di stare al cinema anche dopo la fine del film, per i soliti post credit).
Il fatto che Ant-Man sia un personaggio praticamente (semi) escluso dalla linea narrativa principale, lo mette in una posizione di privilegio. Anzi, mette Reed nella posizione di offrire un prodotto decisamente estivo, in grado di intrattenere senza alcun tipo di incertezza sia i fan “supereroistici”dell’universo Marvel, ma anche e soprattutto le famiglie.
Abbandonato l’heist movie di scuola Wright (sua, nonostante il licenziamento la sceneggiatura del primo), lo script di Ant-Man and the Wasp vira decisamente sulla commedia. Tantissime scene leggere, in grado di far sorride e ridere, grazie alla presenza di personaggi come il già citato Rudd, ma soprattutto un Michael Pena dai tempi comici praticamente perfetti.
Non sono ovviamente da meno tutti gli altri protagonisti di questa storia, a partite da una Michelle Pfeiffer e un Walton Goggins che, nonostante il tempo su schermo ridotto, aggiungo indubbio valore alla narrativa e alla recitazione.
Ai dialoghi brillanti e vivaci si alternano tantissime scene d’azione che giocano, ovviamente, sull’elemento quantico. Scene che, sia per quanto riguarda i combattimenti che gli inseguimenti, sono nettamente migliorate rispetto al primo film. Ora possiamo tranquillamente affermare essere ai livelli degli altri film della saga.
Ma come dicevamo in apertura, se da una parte abbiamo un film decisamente più light e famigliare, come risvolto della medaglia troviamo una struttura che si uniforma, al 100%, al tanto amato/odiato archetipo Marvel. Ecco quindi scene d’azione che si svolgono contemporaneamente su più livelli, e soprattutto un villain che non viene mai realmente approfondito, restando così sullo sfondo e quasi impalpabile. Il tutto da un forte senso di déjà-vu che permane per tutta la durata della pellicola.
La stessa Lilly, che si rivela essere la spalla perfetta per Rudd, avrebbe meritato qualcosa di più, ma sembra quasi che la serietà che circonda il suo personaggio (sono praticamente tutte sue e di Douglas le scene più “serie) venga soffocata dal tono generale della pellicola.
Come per tutti i prodotti Marvel, anche questo potrà essere criticato, a ragion anche veduta, per una serie di elementi che molti ormai non digeriscono più con molta facilità; una cosa è tuttavia certa e apprezzabile: il film è confezionato con sapienza e tempismo per essere un efficace blockbuster estivo, con buona pace dei detrattori.