Aquaman e il regno perduto dei cinecomics: la recensione del film che chiude, inconsapevolmente, un’era
Aquaman è lo stesso di sempre, ma nel frattempo il mondo dei cinecomics così come lo consocevamo si è estinto. La recensione del film.
Nelle tante sciocche, incredibili follie del primo Aquaman c’era anche una scena in cui il personaggio di Nicole Kidman, l’atlantidea madre dei protagonisti Arthur e Orm, riemergeva da un mondo popolato da dinosauri. Una strana sacca temporale in cui ciò che in teoria era morto, sepolto e fossilizzato era riuscito a sopravvivere e prosperare.
Aquaman e il regno perduto sembra riemergere da un posto del genere. Guidato da un Jason Momoa più statuario, tronfio e cazzone che mai, arriva sul grande schermo bellamente inconsapevole di come tanto, forse tutto sia cambiato per quelli della sua specie negli ultimi 12 mesi. Aquaman e il regno perduto è un dinosauro che ha schivato il meteorite e pascola tranquillo, senza sapere che l’epoca d’oro della sua specie, i cinecomics, è finita.
Non mi riferisco solo alla prima era DC guidata da Warner Bros, di cui è il lungometraggio chiudifila. Aquaman e il regno perduto infatti è l’ultimo film di un decennale tentativo d’inseguimento di Marvel da parte degli eroi DC. Sembra passato molto più tempo da quel Man of Steel, da Henry Cavill che entra nel costume di Superman e dà battaglia a Iron Man e soci mentre gli spettatori seguono ossessivamente il genere supereroistico, sembrano non interessarsi ad altro.
Il meteorite chiamato 2023 però ha travolto anche - soprattutto? - loro, quelli che hanno guidato la corsa, i vincitori di sempre: i super di casa Marvel, che da Quantumania a The Marvels sembrano incapaci di interessare il pubblico. Aquaman e il regno perduto è rimasto così solo a chiudere un 2023 disastroso per i supereroi che azzarda perfino un riferimento diretto. Parlando del suo rapporto con Orm (Patrick Wilson), che ha dovuto liberare dalla sua prigione per affrontare Manta (Yahya Abdul-Mateen II) e un nuovo nemico in arrivo, Arthur paragona suo fratello a Loki, per poi poco dopo citare Azkaban.
Aquaman insomma alza il cappello e s’inchina a Marvel. Non potrebbe fare altrimenti: anche in questo film si ritrova a rielaborare passaggi di trama e scelte narrative che la competizione con Black Panther ha già affrontato tempo prima e in maniera più convincente. L’intero finale di Aquaman si ritrova a trasformare re Arthur in re T’Challa. La novità è che il pubblico è così distratto, così stanco che forse non discuterà nemmeno di questo ennesimo “prestito”.
Si profitta insomma di un campo libero, perché improvvisamente Aquaman non ha più particolari pressioni da affrontare. Non lo può sapere, ma gli ultimi 12 mesi hanno segnato la caduta verticale del suo genere, un tempo blasonato, imbattile. Un anno fa i cinecomics sembravano inarrestabili, ora sono così in affanno che ci si interroga sulla loro sopravvivenza. James Gunn in teoria sta lavorando a un rilancio decennale della DC in grande stile, a partire proprio da un nuovo Superman. A essere in affanno però sono Disney e Warner, i conti in profondo rosso dopo un’annata disastrosa al botteghino, come non se ne vedevano da anni. La prima paga lo scotto di aver così demistificato l’uscita in sala dei suoi film da aver abituato gli spettatori ad aspettarli su Disney+, la seconda boccheggia dopo una serie di fiaschi clamorosi al botteghino, con l’unica boccata d’aria regalata dall’incasso miliardario di Barbie.
Cosa c’entra questo con Aquaman? Tutto e niente, verrebbe da dire, dato che il film procede per la sua strada incurante o inconsapevole del fatto che nel frattempo, all’improvviso ma in maniera netta, marcata, la gente sembra essersi stancata dei cinecomics. Aquaman però questo non lo sa e si presenta in sala con un secondo film che, in sostanza, ripercorre un percorso simile al primo per tono sbruffone, sequenze d’azione pompatissime e cazzima percepita.
Il primo lungometraggio di Wan era meno coeso, ma animato da una leggerezza autentica che lo rendeva spassosissimo nei suoi passaggi più sciocchi. Il secondo Aquaman quella leggerezza un po’ la finge, come quando uno al bar pretende di essere più ubriaco di quel che è per non vedere la malinconia che sale, la festa che finisce.
L’unica vera differenza con il primo film è che stavolta l’onere di tenere su la baracca è ripartito tra un Jason Momoa pienamente a suo agio nel personaggio e nelle scene d’azione e un Patrick Wilson che è il cuore recitativo del film.Wilson è uno che da Watchmen in giù non si è mai tirato indietro di fronte a progetti veramente imbarazzanti, dimostrandosi sempre più che all’altezza. Uno che fa film, avrebbero detto un tempo, ma non fa cinema: uno che i grandi registi nemmeno si calcolano insomma. Il personaggio che interpreta nel franchise horror The Conjuring probabilmente gli permette di stare tranquillo a livello economico e lavorativo. I personaggi come Orm li affronta come se non fossero un castigo e risulta difficile non apprezzarlo per questo.
Ossigenato, strizzato in una tutina più stretta che mai, ****Wilson è l’ultima spiaggia di un film che si deve impegnare per tenere il più possibile ai margini una Amber Heard diventata radioattiva dopo il divorzio da Johnny Depp, non potendo contare su una Nicole Kidman che non vede l’ora di far dimenticare la sua partecipazione ad Aquaman.
Conciato come una sorta di versione homeless di Homelander di The Boys, Wilson affronta una serie record di reaction shot, mettendo la recitazione laddove necessario, sgranocchiando blatte e incassando i pugni poderosi di Momoa in un film che può contare solo su di lui e poco altro, appoggiandosi a peso morto su un umorismo sghignazzante fatto di battute sulla pipì degne della terzultima fila di una classe delle scuole medie.
Aquaman dunque fa il suo, in maniera più meccanica e meno spontanea del film che lo ha preceduto, ma portando a casa il risultato. È il cinema attorno a lui che è cambiato, che fa apparire datate le sue scelte, la sua stessa essenza.
Rating: Tutti
Durata: 132'
Nazione: Stati Uniti
Voto
Redazione
Aquaman e il regno perduto
Chissà che impressione ci avrebbe fatto questo secondo Aquaman un anno fa, quando il suo essere un baraccone cinecomics divertente e un po’ cazzone ci sarebbe sembrato una scelta ovvia, vincente, naturale.
Invece oggi Momoa cavalca l’ultima onda cinecomics, divertendosi sì, ma senza prospettive e senza ambizioni, arrivando a festa già finita. Regolatevi così: se riguardereste il primo film, andate a vedere il secondo, altrimenti dedicatevi ad altro in questo weekend cinematografico.