Provino per 007, action, spy movie e commedia romantica: Argylle è tanto, forse troppo. La recensione del film.

Eccessivo, ironico ma anche innamorato di ogni spia mai apparsa su schermo: Argylle, nel bene e nel male, è davvero innamorato di ciò che irride.

di Elisa Giudici

Non mancano certo parodie dei film di spionaggio dal protagonista elegante, figo e infallibile à la James Bond, anzi. Da quando Sean Connery ha ribadito che il suo nome è Bond, James Bond, molti altri si sono messi al lavoro per capitalizzare su tutta quella serie di stilemi, stereotipi ed esagerazioni connaturate al re del genere, la spia cinematografica per antonomasia.

Raramente però è capitato di vedere qualcuno ironizzare su qualcosa di cui palesemente vorrebbe fare disperatamente parte come Matthew Vaughn, regista di Argylle. I primi 20 minuti del film prodotto da Apple sono in tutto e per tutto la sua audizione al ruolo di regista di un futuro film di 007. Buona parte della sua carriera, quella più riuscita, ribadisce quanto il creatore di Kingsman ami questo genere, lo abbracci con entusiasmo, anche nelle sue storture e contraddizioni. Forse soprattutto in quelle.

La trama di Argylle

Argylle in questo senso è ambiziosissimo: vuole essere una commedia, una spy story e un film d’azione, tanto per cominciare. La storia è quella di Argylle (Henry Cavill), invicibile spia dal tremendo taglio di capelli che lotta contro un malvagio direttorio eseguendo missioni in giro per il mondo, insieme ai fidati compagni di squadra (Ariana Debose e John Cena).

Argylle però non esiste nemmeno nel mondo di Argylle: è infatti il protagonista di una serie di fomanzi di successo scritti da Elly Conway (Bryce Dallas Howard), impacciata e introversa scrittrice che è sposata al suo lavoro. Single, legata sentimentalmente al suo personaggio fittizio e al suo gattino Alfie, Elly si ritroverà a venire avvicinata e poi protetta da Aidan (Sam Rockwell), una spia dal carattere e dall’aspetto opposto ad Argylle. Qui la cornice fittizia del film diventa reale, i livelli si sovrappongono: le trame dei romanzi di Elly diventano realtà, lei predice il futuro e i killer di mezzo mondo vogliono toglierla di mezzo, perché sta rovinando loro la vita.

Questo perché è solo l’antefatto della premessa di un film che si diverte a pelare come una cipolla, strato dopo strato, una serie di bugie o proiezioni freudiane che dir si voglia, alla ricerca della vera identità di Argylle, di Aidan e di Elly. Per farlo ci impiega ben due ore e venti, ricolme di tutto: trovate brillanti, canzoni davvero accattivanti (impossibile stare fermi ascoltando “Electric Energy” di Ariana DeBose e Boy George: se c'è un giustizia musicale, sarà un tormentone del 2024).

Il fatto che il film abbia nel cast Dua Lipa ma finisca per far cantare Ariana DeBose, il fatto che giochi a trasformare la pop star in una sorta di Bond Girl sexy e letale e poi faccia vestire gli stessi panni (letteralmente) a un’altra persona è uno dei mille segnali di come Vaughn ami e apprezzi il senso di mistero e inganno che è alla base del genere stesso. Anche il parallelo tra Rockwell e Cavill, nei rispettivi ruoli, è un testamento alla sua capacità di abbracciare le incongruenze delle spy story ma al contempo guardarle con occhio critico.

Si fermasse qui, alla sua sequela di continui colpi di scena, personaggi che diventano avatar di persone che si rivelano proxy di altre identità, Argylle sarebbe un grande film. Si potrebbe anche perdonagli il suo gusto per il cattivo gusto, le scorciatoie continue che prende quando immerge le braccia nel genere action, lasciando che (brutti) effetti speciali facciano il lavoro sporco, laddove il genere dà grandi soddisfazioni proprio per come curi inseguimenti e combattimenti tanto e più delle parti “serie” della trama. Vaughn potrebbe essere il primo regista a girare un film visivamente davvero sgradevole per Apple, che si è fatta finora portabandiera di un’estetica e una tecnica sempre più che inappuntabili.

Il senso di Vaughn per Argylle

C’è da parte di Vaughn una palese voglia di buttarla in caciara, di abbracciare il lato volutamente trasandato e non rifinito del filone parodico delle spy story. A Vaughn piace così tanto il genere che prima ti cita John Le Carrè e poi guada a Austin Powers, tentando di tirar fuori anche una commedia romantica con al centro personaggi e corpi non conformi. Certo, si rischia di passare da un modello estetico irraggiungibile a un altro parimenti stucchevole; tutto gattare, ville in legno in riva al lago, cardigan morbidi e capelli rossi con onde ancor più morbide. Taylor Swift, ma non in senso ironico. Complimenti davvero a Vaughn per aver saputo fare suoi anche certi stereotipi, certe banalizzazioni che appartengono parimenti al mondo della commedia romantica e a quello delle fan fiction.

Vaughn sa cosa vogliono i fan del genere “spie da ridere”, sa cosa vogliono gli studios alla ricerca di un franchise molto “meta” e molto contemporaneo, sa persino cosa vuole il pubblico femminile e cosa vuole lui (palesemente: dirigere un film di 007, tanto quanto Christopher Nolan). Il problema che sceglie di non scegliere, tentando di fare tutto, cercando di accontentare tutti, tenendo un film ritmo di narrazione incalzante che lascia un po’ spossati. Così il film finisce per approfondire poco quanto di buono (talvolta ottimo) ha in serbo per lo spettatore, dando parimenti spazio a quello che davvero è pessimo.

Il vero ago della bilancia per Argylle sarà il pubblico: se l’operazione andrà in porto e il botteghino sarà cospicuo, Vaughn potrà tornare a lavorarci, con calma e dandosi delle priorità. Così come il collega Zack Snyder con Rebel Moon, il film di Vaughn è appesantito e talvolta azzoppato da aspirazioni enormi e un’iperattività narrativa che certo non annoia, ma forse non permette di godersi fino in fondo il lavoro di fino della storia, quando c’è. Peccato che Vaughn, quasi sempre per scelta, opti per un’estetica lontana dalla raffinatezza di certe sue scelte narrative, dandoci spesso un film brutto e plasticoso, che sarebbe potuto tranquillamente essere comunque tamarro ed eccessivo, ma appagante.