Armageddon Time, recensione: come si cresceva, davvero, negli anni ‘80 in America
Ambientato all’inizio della presidenza Reagan e profondamente autobiografico, Armageddon Time è un film imperfetto ma personale, che racconta il brutto di un’epoca che oggi tutti sembrano rimpiangere. La recensione.
Dici anni ‘80 negli Stati Uniti e pensi a un’epoca di benessere, superficiale, colorata e felice. Armageddon Time invece ne fa un racconto diametralmente opposto. Difficile dargli contro, sapendo che lo sceneggiatore e regista James Gray ci ha infuso dentro i ricordi della sua infanzia nel Queen.
Cresciuto in una New York meno glamour di quanto ci aspetteremmo, in una famiglia ebrea in cui spaventosi racconti dell’Europa nazista si mescolano a un presente di pregiudizi e razzismo, James Gray è tra i pochi a riuscire a raccontare le inquietudini di un’epoca che abbiamo mitizzato sin troppo, cancellando accuratamente i suoi lati oscuri e sinistri.
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Di cosa parla Armageddon Time
Giusto a metà di Armageddon Time Reagan batte Carter nella corsa alla presidenza statunitense e apre una nuova era repubblicana negli Stati Uniti. A casa Graff la sua elezione viene accolta con preoccupazione e cinismo: con Reagan al comando, il conflitto freddo con i russi subirà un’escalation e arriverà l’Armageddon, pronosticano i genitori del piccolo Paul (Banks Repeta).
Il piccolo di casa Graff è troppo spensierato e perso nei suoi sogni di gloria per curarsi delle ansie degli adulti. Il terribile racconto di come la bisnonna ucraina vide i genitori trucidati dagli anti-semiti, raccontatogli dall’amorevole nonno Aaron (un Anthony Hopkins come al solito eccellente) lo tiene sveglio nel suo lettino per qualche ora ma poi gli scivola addosso.
Paul è un sognatore e ha l’animo dell’artista, ma è anche un bambino viziato i cui capricci vengono schermati dalla mamma e dal nonno, mentre il fratello maggiore Ted vive un’esistenza più severa e responsabilizzata. Paul va a una scuola pubblica e stringe amicizia con Johnny, un ragazzino afroamericano che vive con un’alzata di spalle una situazione familiare molto difficile. Armageddon Time racconta sia la loro amicizia sia la lenta crescita personale di Paul.
Come dice l’adagio, si cresce solo conoscendo il dolore. Da spensierato monello incapace di capire davvero cosa succede nel mondo e nella sua famiglia qual è, Paul proverà moltissimo dolore emotivo e fisico. A imprimergli quest’ultimo, come un marchio a fuoco, sarà il padre Irving (interpretato da un ottimo Jeremy Strong), perfetta sintesi di un uomo in continua oscillazione tra una figura autoritaria e violenta e un genitore amorevole che desidera costruire un rapporto autentico col figlio.
Cosa funziona e cosa no in Armageddon Time
Amare i propri figli però non mette al riparo da errori e scontri, sembra ricordarci James Gray. I momenti più potenti e toccanti del film sono quelli attraverso cui filtra il ricordo del padre e della madre del regista .
Interpretata da Anne Hathaway, la madre di Paul è una donna che trova piccole realizzazioni fuori da casa, ma il cui valore di persona viene scarsamente considerato anche dal piccolo di casa. Non solo: verrà anche travolta da un lutto devastante, che la getterà nella depressione. James Gray riesce a trovare nel padre un personaggio complesso e sfaccettato, drammatico nelle sue frustrazioni, senza cadere nella trappola del classico padre padrone violento.
Armageddon Time getta un’ombra cupa sull’epoca dorata degli anni ‘80, mentre ricostruisce come cambia il sogno americano in una famiglia migrata dall’Europa quattro generazioni prima. Per il nonno Aaron e per il papà Irving l**’America è un posto in parte ostile**, in cui non bisogna smettere di guardarsi le spalle dall’antisemitismo, in cui bisogna lottare e accettare le inevitabili umiliazioni a capo chino.
Paul invece è un nativo, un Americano vero, cresciuto dal mito del consumismo. Conosce la discriminazione e il disagiosolo una volta che viene iscritto a Forest Manor, una scuola privata rinomata che ospita solo i figli delle elite. Gray riesce a sintetizzare in pochissimi tratti la non appartenenza di Paul a questo luogo: la sua valigetta démodé al posto dello zainetto, i capelli pettinati all’indietro. I professori e gli studenti riescono a fiutargli addosso la sua non appartenenza,la sua diversità. Nella scuola pubblica in cui frequentava prima invece Paul era a suo agio. Lì le discriminazioni del professore colpivano solo Johnny, l’amico afroamericano.
Nell’affrontare il tema del razzismo insito nella scuola, nella società e nella stessa famiglia di Paul, Gray diventa più convenzionale e meno convincente, incapace di seguire le sue premesse negative fino a un finale forte. La tragedia di Johnny si consuma sempre ai margini, fuori campo, in secondo piano, non sviluppando davvero la sua forza. È come se a livello di sceneggiatura Gray non sapesse darle il giusto spazio, procedendo in punta di piedi.
Quando si passa alla politica invece in poche pennellate il regista di Ad Astra si dimostra più che capace di risolvere brillantemente un personaggio che ben riassume l’atmosfera politica vissuta durante la sua adolescenza. Uno dei momenti migliori del film è legato al cameo di Jessica Chastain nei panni di Maryanne Trump (la sorella maggiore dell’ex presidente). Gray lega direttamente l’ascesa di Reagan al potere con un cambiamento del partito repubblicano che è arrivato al pieno sviluppo solo durante l’epoca trumpiana, in cui questo film è stato ideato e realizzato.
Il discorso di Maryanne mescola un senso di superbia e predestinazione delle classi abbienti - gli eletti - con elementi davvero innovativi per l’epoca, come l’attenzione al ruolo alle donne. Quando parla agli studenti della Forest Manor (che inneggiano esaltati a Reagan pur non potendo ancora votare in quanto minorenni) Maryanne tira fuori un discorso motivazionale dedicato alle studentesse, promettendo anche a loro le luci della ribalta, un senso di predestinazione condiviso in contrasto con “altri” mai citati ma facilmente riconoscibili: i poveri, i non bianchi, i non americani conservatori. Anche la famiglia di Paul fa parte degli “altri”. Paul e il fratello maggiore Ted sono degli intrusi tollerati, ma mai veramente accettati.
L’espressione smarrita di Paul, il disinteresse che suscita in lui questa retorica a cui invece attingono a piene mani i suoi genitori (disposti a svenarsi per dargli l’opportunità di crescere e studiare con le persone giuste) racconta più di ogni altra scena quanto Paul e James siano lontani dal sistema di valori in cui sono cresciuti.