Assassinio a Venezia, recensione: Poirot in chiave horror funziona

Lo strano franchise di Kenneth Branagh con protagonista Hercule Poirot sceglie atmosfere italiane e l'horror per il suo terzo capitolo, che si mantiene in linea con i precedenti.

di Elisa Giudici

Ci vogliono tutta la spocchia e la noncuranza di quando gli statunitensi guardano al Vecchio continente e all’Italia in particolare per prendere una scelta come quella al centro di Assassinio a Venezia. Il film di e con Kenneth Branagh è solo l'ultimo di un 2023 che lascerà lo spettatore italiano stupito di fronte a un Bel Paese sempre più protagonista nei film hollywoodiani, ma incapace di uscire dallo stereotipo: dagli inseguimenti fotocopia di Mission Impossible e Fast X per le strade romane, all’ndrangheta che si trasferisce in Sicilia nel terzo The Equalizer, senza dimenticare le colline modenesi poco ispirate di Michael Mann in Ferrari, la Sardegna caraibica di La Sirenetta, per citare solo gli esempi più clamorosi.

Ci vuole dunque un occhio straniero per pensare che, con una trama sinistra e misteriosa, una Venezia avvolta dalle nebbie da cui emergono figure avvolte da mantelli e col volto coperto da maschere, l'ambientazione ideale sia... Halloween, non Carnevale. Peccati veniali che mi piace sottolineare in un film che, a differenza di "Ferrari", regala a un attore italiano l'occasione di brillare in un contesto internazionale. Nel solito cast all star di questa nuova investigazione di Poirot c'è infatti anche un Riccardo Scamarcio, guardia del corpo del protagonista, che si ritaglia un ruolo di discreto rispetto.


Perché dunque scegliere Halloween per un film che gioca d'anticipo ed esce in sala non in piena festa delle streghe, ma quando i caffè e i negozi cominciano a proporre la loro selezione autunnale? È presto detto: "Assassinio a Venezia" è molto liberamente ispirato a "Hallowe'en Party", romanzo di Agatha Christie del 1969 noto in Italia come "Poirot e la strage degli innocenti".

Della trama originale di questo romanzo, titolo della fase tardiva della carriera della scrittrice e non tra i più osannati, si mantiene in realtà pochissimo. L'ambientazione passa dall'Inghilterra a Venezia, alcuni dettagli riguardanti gli omicidi al centro della vicenda vengono citati e ripresi, ma il caso che deve affrontare Poirot è differente e, in ultima analisi, manca la forza immaginifica delle trame originali della scrittrice inglese di gialli mamma di Poirot

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La trama di Assassinio a Venezia

Venezia, 1947. Poirot (Kenneth Branagh) ha scelto la Laguna come suo ritiro dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Il conflitto bellico l’ha lasciato disilluso e amareggiato, tanto da essersi rinchiuso nella sua dorata prigione veneziana, senza accettare casi e senza voler incontrare nessuno, con al fianco solo la guardia del corpo Vitale Portfoglio (Riccardo Scamarcio) a schermarlo dalle richieste del mondo esterno.

La scrittrice Ariadne Oliver (Tina Fey) riuscirà però a intrigare Poirot, chiedendo il suo aiuto per smascherare una medium di nome Joyce Reynolds (Michelle Yeoh) alla vigilia di una seduta spiritica. La donna tenterà di evocare lo spirito della figlia defunta della cantante soprano Rowena Drake (Kelly Reilly), inconsolabile proprietaria del Palazzo delle Lacrime a Venezia. La notte di Halloween Ariadne e Poirot parteciperanno alla seduta, da scettici decisi a smascherare la truffatrice.

Si troveranno ad affrontare un macabro omicidio che pare in qualche modo legato alla morte della figlia di Rowena.C’è un assassino tra gli invitati oppure sono gli spiriti dei bambini che infestano la casa maledetta ad avere ucciso?

Com’è Assassinio a Venezia rispetto ai film precedenti

Sono passati dieci anni dal finale di "Assassinio sul Nilo", in cui un Poirot senza barba sembrava destinato a ricostruire la sua vita affettiva. In "Assassinio a Venezia", lo ritroviamo ancora più pessimista, cinico e abbattuto, senza una spiegazione da parte del film. Che fine ha fatto la cantante Salome Otterbourne? Non è dato saperlo. Sembra solo che la Seconda guerra mondiale l'abbia traumatizzato ancora di più, ma a differenza di "Assassinio sull'Orient Express", non ci sono flashback o riferimenti che ci aiutino a fare chiarezza sul decennio trascorso.

"Assassinio sull'Orient Express" sembra insomma non avere legami con i lungometraggi precedenti, tanto da configurarsi come un film a sé stante, autoconclusivo, che conserva solo il regista e l'attore protagonista, Kenneth Branagh, appunto. Curioso anche l'approccio al romanzo di partenza, differente e più radicale del passato. I primi due film operavano alcuni cambiamenti alla trama di due romanzi molto famosi di Agatha Christie, ma mantenevano l'intreccio narrativo e il caso investigativo quasi inalterati. C'erano giusto un paio di colpi di scena inaspettati, volti a sorprendere anche il lettore in sala.

"Assassinio a Venezia", invece, propone una storia molto rimaneggiata e un caso quasi del tutto nuovo. In questo, il film compie un passo falso: non è semplice, infatti, costruire un giallo avvincente e riuscito come quelli di Agatha Christie. Il risultato è una sceneggiatura in cui è molto più facile del consueto seguire i ragionamenti di Poirot e anticiparli. Persino l'identità dell'assassino è facilmente deducibile, poiché il film fatica a far passare inosservate le battute e le scene rivelatrici.

Branagh, però, ha il merito di spingere per la prima volta - almeno in un prodotto così commerciale e destinato al grande pubblico - Poirot in un territorio diverso dal solito. "Assassinio a Venezia" ricorda più certe storie di Conan Doyle e del suo Sherlock Holmes ("Il mastino dei Baskerville" e "La Valle della paura", su tutte), certe rielaborazioni di cui Holmes ha già molto beneficiato in TV e al cinema. Holmes, infatti, è già stato spinto innumerevoli volte in territori differenti dal giallo classico all'inglese.

Branagh qui tenta di fare lo stesso con Poirot, spingendolo con eleganza e senza eccessi in territori horror. Siamo più nelle parti di "Belfagor - Il fantasma del Louvre" che di "The Conjuring", chiaramente, ma questa atmosfera regala una nota di freschezza al film, rendendolo una visione tutto sommato piacevole, grazie anche ai personaggi molto riusciti di Tina Fey e Michelle Yeoh.

Branagh mette in campo una regia che ricalca alcuni stilemi del genere horror classico e un montaggio e un lavoro sul sonoro che rendono Venezia più sinistra e spettrale del solito. Non è la prima volta che tenta di fare qualcosa di differente con Poirot; anzi, si potrebbe dire che questo franchise abbia come scopo proprio questo: provare Poirot in tanti contesti e con molti registri differenti, vedendo cosa funziona e cosa no.

Per ora, nessuna scelta è parsa davvero risolutiva e la continuità e coerenza di questo franchise ne risultano un po' compromesse. Branagh, però, riesce anche stavolta a superare la tempesta e riportare la gondola all'approdo, regalando un film che convincerà quanti hanno apprezzato i primi due capitoliBranagh continua a sperimentare con il suo Poirot. "Assassinio a Venezia" fa un'incursione inaspettata nel panorama delle ghost story, forse donando l'innovazione più convincente al personaggio dall'inizio di questo franchise fortemente discontinuo. Tina Fey, Michelle Yeoh e Riccardo Scamarcio lasciano una buona impressione, così come una regia e un montaggio che si divertono a creare tensione e atmosfere sinistre per il pubblico. Tuttavia, il caso non è all'altezza delle aspettative dello spettatore e risulta molto prevedibile. Rimane comunque una visione divertente, che soddisferà chi ha apprezzato i primi due capitoli.