Atlas: nel film Netflix con il budget record, Jennifer Lopez vale tutti i 100 milioni di dollari
Atlas funziona. E lo fa per un solo, unico, grande motivo: Jennifer Lopez
Su Netflix è arrivato Atlas, l’attesissimo film di fantascienza con protagonista Jennifer Lopez e un budget stratosferico, il più alto mai assegnato a un film con una protagonista femminile.
Ma lei, JLO, quei soldi li vale tutti.
La trama di Atlas
28 anni dopo la rivolta dell’!ntelligenza Artificiale, guidata dal (ro)bot ribelle e terrorista Harlan (Simu Liu), che ha sterminato milioni di persone, la caccia ai terrosti IA non è ancora finita. Atlas Shepherd, analista del controterrorismo alla ICN (Coalizione Internazionale delle Nazioni) viene chiamata a partecipare all’operazione che costringerà Casca (Abraham Popoola), bot complice di Harlan, a rivelare la sua posizione. Il terrorista ha scatenato la guerra contro gli umani e ha lasciato la Terra 28 anni prima, ma con la promessa di tornare.
La fantascienza moderna reinventa se stessa
Muovendosi fra Terminator - Hrlan, Skynet… chiamateli come volete, il risultato è il medesimo, ma con finalità molto diverse - e Blade Runner (con i “lavori in pelle” più sofisticati di sempre), Atlas ci regala un’avventura con tutte le carte in regola.
Un’avventura fantascientifica che funziona davvero per un solo, unico motivo: Jennifer Lopez.
Pescando a piene mani dalla tradizione sci-fi, dai link neurali (chiamati connessione in Star Trek: Voyager) ai motori a curvatura (mai citati ma palesi), Atlas affronta lo scottante tema dei rischi dell’IA.
23 anni dopo Steven Spielberg e il suo moderno Pinocchio in chiave intelligenza artificiale, Atlas riprende l’annoso dibattito su quanto possa somigliare all’essere umano una creatura sintetica, ma lo fa per la prima volta da quando tutti conosciamo direttamente l’intelligenza artificiale.
Il che, è evidente, rende tutto più realistico, attuale, interessante.
Il colpo di scena - ma neanche troppo - che svela le origini di Harlan a mezz’ora dalla fine, non fa che rincarare la dose. E una protagonista cresciuta nell’avversione per l’IA finisce per affezionarsi a qualcuno che, secondo quando ha pensato per tutta la vita, “non è vivo”.
Il sogno tecnologico della madre di Atlas, la scienziata Val Shepherd (Lana Parrilla), come in ogni storia di fantascienza che si rispetti, nasceva da buone intenzioni. Ma giocare a fare Dio, creando esseri senzienti, come in ogni storia di fantascienza che si rispetti, costa caro. Quasi tutto.
Ed è a questo punto che entra in campo lei. Con qualsiasi altra attrice, sarebbe stato diverso. Ma con lei, la sola e unica JLO, Atlas funziona. È divertente. Divertente perché lei è divertente.
Un film pensato per Jennifer Lopez
Netflix, che dal 24 maggio rende disponibile il film in tutto il mondo, insieme ad altri produttori ha investito la bellezza di 100 milioni di dollari nel budget del film più costoso costato di sempre per una protagonista femminile.
E l’investimento, ça va sans dire, viene ampiamente ripagato. Come dicevo, Jennifer Lopez è il vero, unico, perfetto centro d’attrazione di tutte le due ore di film. La sceneggiatura le è stata cucita addosso, per evidenziare la sua versatilità. La capacità di essere fragile e indifesa, terrorizzata, ma anche tosta, combattiva e determinata quando serve.
La guerriera perfetta perché, a differenza del suo nemico, è splendidamente, imperfettamente umana.
La trama di Atlas prevede anche l’inserimento di un altro grande classico: l’analista che si trova improvvisamente a dover diventare un agente operativo, perdipiù sul campo di battaglia. Come nei film di spionaggio della tradizione.
Stavolta, però, non abbiamo Jack Ryan. Neanche la versione più moderna interpretata in TV da John Krasinksi. Stavolta abbiamo un’analista che impreca e ha gli attacchi di panico. Aggiungete al mix un computer che sembra K.I.T.T. quando prendeva in giro Michael Knight (in Supercar, sempre in TV) e avrete il quadro completo.
No, aspettate. Manca ancora una cosa, e non è cosa da poco.
In barba alla diffusissima cultura woke, qui abbiamo una donna latina che combatte contro i cattivoni. Rappresentati, rispettivamente, dalle sembianze di un afroamericano e di un asiatico.
Vi è chiaro il messaggio, vero? Grazie a Sterling K. Brown (bravissimo, come sempre, da American Fiction a This is Us), Atlas ci dice che non importano le origini degli attori: possono fare sia i buoni che i cattivi, funzionando in entrambi i ruoli, mentre non ci deve proprio interessare stare a contare le famigerate quote, perché quando c’è il talento non esistono.
E di talento, in questo cast, ne hanno tutti. Da vendere. A cominciare da Mark Strong, attore inspiegabilmente sottovalutato da tanti, ma geniale interprete di Deep State in TV come di Imitation Game su quello grande. Passando da Endgame a Kingsmen senza fare una piega.
Lana Parrilla non ci fa rimpiangere la sua bravura nell’essere la Regina Cattiva di C’era una volta, né l’agente Ortiz di Boomtown, uno dei migliori polizieschi di tutti i tempi… Prontamente cancellato dopo due stagioni perché nel 2003 i produttori non sono stati abbastanza lungimiranti. Oggi sarebbe stato diverso.
Ma oggi è il giorno di Atlas, il momento in cui - abbandonati gli eccessi del movimento #metoo - le donne a Hollywood fanno ciò che conta davvero: dimostrano il proprio potere.
E con i suoi 100 milioni di dollari per Atlas, Jennifer Lopez - perfetta in ogni singola inquadratura - fa sognare alle giovani attrici un mondo in cui le eroine femminili saranno cazzute (perdonate il termine, ma rende l’idea) quanto le loro interpreti nell’industria cinematografica.