Avatar - La via dell'acqua, la recensione
Dopo la cacciata degli umani dal pianeta Pandora, Jake Sully (Sam Worthington) e Neytiri (Zoe Saldana) hanno messo su famiglia e vivono in pace assieme al resto della tribù Omaticaya delle foreste. I terrestri però non si sono dati per vinti e dopo oltre un decennio assaltano nuovamente il pianeta, imponendo la propria presenza con brutale forza distruttrice. Parte della spedizione anche l'avatar del colonnello Miles Quaritch (Stephen Lang), che con i suoi fedelissimi ha un solo obiettivo: vendicarsi di Jake Sully.
Ritorno su Pandora
Tredici anni dopo l'exploit fantascientifico del primo Avatar, capace di far letteralmente sognare a occhi aperti trasportando sull'originalissimo e affascinante pianeta alieno, si torna nuovamente su Pandora. L'entusiasmo per quel film fu trascinante e restò tale per diverso tempo, ma a circa 13 anni di distanza va da sé che l'hype non sia più lo stesso, anche da parte di chi l'ha amato senza mezzi termini.
Fattore certo non così determinante rispetto alla speranza di una fresca sceneggiatura per questo primo sequel non più tutto di Cameron, ma scritto in compagnia di Rick Jaffa e Amanda Silver. La coppia è nota per aver lavorato assieme al remake/reboot del Pianeta delle scimmie ma anche Heart of the Sea - Le origini di Moby Dick così come il sottostimato horror The Relic (1997).
Uno script fintamente originale
Il ritorno su Pandora significa che rispetto al primo film non c'è più la novità assoluta, benché seguendo la vita dei Sully si vada alla scoperta di un'area inedita del pianeta, quella acquatica degli indigeni che la popolano. Con il ritorno dei terrestri che vogliono fargli la pelle a Jake non rimane che la fuga, condottiero che abdica a favore di un vero nativo della sua stessa tribù, via con la famiglia per evitare che l'avatar di Quaritch la stermini. L'allontanamento dal villaggio “natio” è legato anche alla scelta di non arrecare danno ai suoi simili, ma il nostro eroe spegne il cervello e ingenuamente ripara presso altri nativi.
Superati gli ostacoli dell'integrazione, la caccia a Jake si fa sempre più pressante e finisce inevitabilmente per mettere a rischio coloro che lo circondano. Se però Quaritch e i suoi sono mossi unicamente da spirito di vendetta, l'uomo su Pandora è tornato “perché il pianeta Terra sta morendo, e occorre trovare una nuova casa all'umanità”. Il generale al comando della nuova spedizione sembra avere solo questo obiettivo, ma ci sono anche mercenari terrestri con tanto di supporto militare che danno la caccia a enormi cetacei alieni per recuperare una preziosa sostanza.
Forse le mani con cui è stata scritta la sceneggiatura sono state troppe, ingolfata di idee in parte a riciclo e tempi narrativi diversi che hanno implicato un diverso ritmo, accelerando sempre più dopo la lunga parentesi di approfondimento del popolo acquatico. Sono più o meno i tempi della scoperta di Pandora nel primo film, ma non con il medesimo sense of wonder. Ci sono troppi echi che giungono dall'opera prima, senza bisogno di rivederla, per non domandarsi se non sarebbe stato meglio impostare un'avventura in misura radicalmente diversa, azzardando di più.
Del resto le perplessità durante la visione dei lunghi 192 minuti non sono mancate. Le urla dei nativi di Pandora quando sono sul piede di guerra richiamano lo stereotipato cinema di cowboy & indiani; c'è poi la (rispettabilissima) parabola ecologista della Terra morente, l'uomo predatore che caccia i cetacei e la distruzione del pianeta devastato alla stregua della povera Amazzonia. Il prezioso minerale del primo film, motore della logica distruttiva per cui l'uomo era disposto a sacrificare tutto e tutti, qui è sostituito da una sostanza organica di tutt'altra natura e utilizzo. Peraltro la famiglia dei Sully a fare da trait d'union degli eventi è troppo infarcita di stereotipi, e poteva condurre a ben altra avventura. Certo notevole la battaglia finale, magistralmente orchestrata, dove però un compiaciuto Cameron non perde occasione per citare se stesso e il suo Titanic.
Tanta, troppa carne al fuoco tirata però fuori dal congelatore, dove non mancano i déjà vu. Tanti percorsi intrapresi da una narrazione che chiude volutamente ben poco alla fine di questo film, in attesa del successivo, o piuttosto dovremmo dire dei successivi capitoli di Avatar. Tutto a patto che questo secondo film abbia il riscontro economico sperato, secondo quanto espresso dallo stesso Cameron e dal collega co-produttore Jon Landau. Ma per quanto ancora sempre e solo su Pandora? Rispetto al primo film questo secondo Avatar ha meno fascino, non entusiasma pur sapendo a tratti emozionare (e quando ciò accade sa molto bene come smuovere gli animi), con la nuova storia che paga lo scotto d'essere la prosecuzione (rimasticata) della precedente.
Fatta eccezione per un unico sparuto quanto notevole predatore marino, il resto del nuovo ambiente subacqueo restituisce più il retrogusto di un fascinoso acquario esotico, ma c'è poco mordente. Dove sono i pericoli che si celano tra le sue profondità? Le foreste del primo film erano tutt'altro che ospitali, non solo per gli esseri umani. Certo l'insuperabile livello tecnologico della produzione ha consentito di illuminare l'opera con un grado di realismo da Oscar, per un risultato senza precedenti. La visione in una sala immensa, chiamata non a caso "Energia", presso il multiplex Arcadia a Melzo in 3D (con occhiali attivi) ha reso ancora più immersiva la partecipazione, in virtù del girato nativo stereoscopico. Anche per questo il sequel di Avatar dovrebbe essere visto in un grande cinema, per poterlo assaporare fino all'ultimo bit.
A conti fatti la mano artistica del regista resta quella di sempre, in più di un'occasione si respira il grande Cinema di James Cameron, con echi di opere stratosferiche come Abyss e Alien scontro finale. Se solo questo strepitoso creatore di mondi non avesse deciso di votare il resto della sua esistenza a un unico franchise, probabilmente nei tredici anni trascorsi dal primo Avatar avrebbe messo assieme chissà quali altre meraviglie, o forse no. È sufficiente osservare la manciata di sublimi inquadrature che raccontano l'arrivo delle navi interstellari a trasporto della seconda missione umana per ricordarsi bene chi è James Cameron, e con quale arte sia in grado di manipolare la materia filmica. Per ora solo l'opera del 2009 è, e resterà chissà ancora per quanto tempo, uno dei migliori film SF di sempre.