Baby Ruby: recensione del thriller di Netflix sulla maternità
Il film scritto e diretto da Bess Wohl si perde in un bicchier d'acqua
Dal 12 agosto su Netflix è disponibile Baby Ruby, il thriller del 2022 scritto e diretto da Bess Wohl, attrice e già autrice di Broad Squad e L’unica.
La trama di Baby Ruby
Joséphine, detta Jo (Noémie Merlant, Tàr) ha un blog che ha trasformato in una rivista di successo. La creatrice di Love, Joséphine ha moltissimi follower e si propone come un punto di riferimento per la moda, la cucina e - a breve - per la maternità. Jo ha messo insieme la nursery perfetta e ha organizzato personalmente il baby shower per Ruby, la sua bambina in arrivo. Insieme al marito Spencer (Kit Harington, Jon Snow ne Il trono di spade), macellaio, si prepara ad accogliere la piccola Ruby ma qualcosa non va come previsto. Jo inizia a soffrire di perdite di memoria, non percepisce più il corretto passare del tempo, Ruby - appena nata - piange in continuazione e le sue nuove amiche non sembrano accusare il colpo di aver partorito quanto succede a lei…
Un’occasione persa per esplorare i tabù della maternità
È una sensazione. La consapevolezza che qualcosa non va, ancora prima che ce ne sia data prova. Rendere inquietante qualcosa di “normale” non è sempre facile. Baby Ruby ci riesce perfettamente, fin dal primo istante. Ma questo non significa che raggiunga appieno il suo scopo.
Baby Ruby vuol essere la rappresentazione della maternità sotto tutto i suoi aspetti, in particolare quelli negativi. La stanchezza, le paure, le insicurezze.
Si percepisce, questo sì: non siamo di fronte a una donna qualsiasi. Né a una gravidanza qualsiasi. E no, la denuncia di come la depressione post-partum sia ancora un tabù, incomprensibile agli occhi di molti, non funziona. Peccato.
La vita di Jo è online. La community dei suoi follower la spinge a desiderare che tutto sia perfetto, quasi a livello maniacale. In effetti, Jo ha una vera e propria mania per la perfezione: ne ha fatto un mestiere.
Quando nasce Ruby, la sua bambina, per la prima volta perde il controllo della situazione. Il suo piccolo mondo perfetto inizia a crollare, un giorno dopo l’altro. Un pezzo alla volta.
La cosa migliore del film è che è del tutto normale, verosimile, totalmente credibile. Un neonato ti stravolge la routine, non puoi pensare di tornare in 3 giorni alla vita che facevi prima. Così, Josephine inizia a crollare anche lei. Un pezzo alla volta.
Un piccolo episodio dopo l’altro, Jo sembra avere paura della sua bambina. Prima si preoccupa, poi non si sente all’altezza, poi si sente giudicata e infine minacciata.
Ed è proprio in questo momento che, purtroppo, il film prende una piega inaspettata
Segreti inconfessabili
Il tabù di tutto ciò che non si può dire, né provare - secondo i canoni della società - sembrava essere la vera rivoluzione narrativa di questo film. Per una volta, la perfezione che si richiede alle madri era fuori discussione, e perfino i genitori più insospettabili potevano confessare di aver avuto difficoltà, più di una volta.
Ma nel momento stesso in cui due donne, due madri, condividono il momento in cui i loro figli sembrano essere troppo per loro, la narrazione prende una direzione diversa. Si vira verso la paranoia, facendo della bambina non più la fonte della paura bensì il bersaglio. Da quel punto del film, fino alla fine (e siamo a metà storia, più o meno) tutto è noia.
Tutto è già visto, in una nell’ennesima versione in brutta copia di Rosemary’s Baby, Servant e tutti gli altri grandi horror/thriller sulla maternità che il cinema e la TV ci hanno regalato.
Peccato, perché la strada della paura della bambina, più che di non essere all’altezza di essere madre, avrebbe esplorato terreni inediti, o quantomeno poco battuti.
Non era necessario arrivare a girare una metafora di The Omen - Il presagio, sarebbe bastato anche solo aumentare la percezione della paura provata da Jo di fronte a questa nuova sfida della vita.
Purtroppo, ci si perde in un bicchier d’acqua. Con un finale così banalmente metaforico da farci rimpiangere di aver buttato via un’ora e mezza delle nostre vite.