Child 44 - Il Bambino 44

di Roberto Vicario
Dopo una travagliata e lunga produzione arriva finalmente nella sale cinematografiche di tutta Italia la trasposizione di Bambino 44, libro di estremo successo mondiale scritto da Tom Rob Smith. Il film diretto da Daniel Espinosa, riadatta in un contesto storico differente la storia del tristemente famoso “Macellaio di Rostov”, killer seriale che nella russia degli anni '80 ha compiuto oltre cinquanta omicidi tra donne e bambini.


Un thriller che svolge il compitino...
La storia, come dicevamo, é tratta dal libro di Smith che adatta la vera storia del killer seriale in un contesto da regime stalinista dell'immediato dopoguerra. Tutto sarà incentrato su Leo Demidov (Tom Hardy) un reduce che si é distinto in maniera particolare durante la guerra. Questo suo carattere e visibilità nel regime ha portato ad inimicarsi molti membri del regime stesso, tra cui Vasili (Joel Kinnaman).

Nel momento in cui la moglie di Leo, Raisa (Noomi Rapace), viene tacciata di essere una spia che trama alle spalle del regime, Vasili coglie l'occasione per spedire la coppia ai confini della Russia, in un avamposto provinciale chiamato Volsk.

Qui conoscerà il capo della polizia locale Nestorov (Gary Oldman) con cui, molto lentamente, diverrà amico. Le loro vite saranno però sconvolte nel momento in cui verrà ritrovato in un bosco il cadavere di un bambino, a cui faranno seguito altri omicidi e ritrovamenti. Un serial killer a cui nessuno vuole credere, perché nel regime creato da Stalin é impossibile che possano verificarsi omicidi…


La visione di Child 44, ci ha lasciato un retrogusto amaro che difficilmente riusciremo a far scomparire. Nonostante la visione globale ci abbia lasciato globalmente soddisfatti, non possiamo far finta che alcuni elementi scelti dal regista, potevano muoversi in una direzione completamente opposta a quella per cui si é optato.

Il film nasce, si sviluppa e culmina all'interno di un contesto credibile che sfrutta in maniera molto classica alcuni cliché del genere thriller per tenere alta l'attenzione nel pubblico. Ci sono dei buoni, un cattivo, ci sono delle vittime e c'é la verità da portare a galla.

Per rendere ancora più partecipe il pubblico all'interno di questo contesto si é scelto di puntare molto sulla violenza e sull'efferatezza che il “macellaio di Rostov” ha utilizzato sulle sue vittime. Violenza, che in determinate scene più movimentate con protagonista Hardy, non manca di essere messa in scena. Uno stile che per certi versi ricorda, in termini di crudezza, Il Collezionista di Ossa di Philip Noyce.

Cos'é allora che lascia l'amaro in bocca? Diversi elementi in realtà, che messi insieme dimostrano come Espinosa abbia deciso di “volare basso” portando solamente a casa il compitino e, come avviene troppo spesso dagli adattamenti di alcuni romanzi, optando per l'estrapolazione del succo del romanzo, ma tralasciando molti aspetti secondari.


Su tutti svetta la lunghezza: due ore e mezza di film sono tantissime, eccessive forse, soprattutto nel momento in cui impatti con una prima parte molto lenta e mal ritmata. A questo si aggiunge la totale inefficacia delle scene d'azione che risultano, all'occhio dello spettatore, estremamente confusionarie.

Non si può non notare poi la scorciatoia scelta dal regista che prova a sensibilizzare il pubblico non attraverso la conoscenza dei singoli personaggi, che rimangono per tutta la durata della pellicola vuoti e privi di profondità, ma utilizzando l'efferatezza del serial killer come strumento di vicinanza e coesione con il Leo di Hardy.

Tutto questo, messo insieme, trasforma il film del regista di Safe House, in un prodotto che si distacca in maniera abbastanza netta, non riuscendo a raccontare tutti i risvolti sociali e storici di cui il libro é intriso, e lasciando la Russia stalinista degli anni '50 quasi in secondo piano rispetto a quello che ci saremmo aspettati.

Questa amarezza é comunque mitigata, per buona parte, da una storia che pur scevra di alcuni elementi che avremmo avuto il piacere di vedere, funziona. Superata una iniziale fase di stanca il film arriva fino all'ovvia risoluzione del caso, in maniera naturale e senza mai annoiare. Nota assolutamente d'onore va data alla fotografia di Oliver Wood che in alcuni frangenti ha la forza di rendere il tutto ancora più cupo, triste ed angosciante.


Un film che ci sentiamo di consigliare non tanto agli amanti del libro - che di fatto rimarranno fortemente delusi - ma più che altro agli amanti del thriller in generale, che senza infamia e senza lode, potrebbero promuovere con il film di Daniel Espinosa.