Beau ha paura, recensione: tutta colpa di mamma

Ari Aster torna a esplorare la dimensione familiare origine di tutti i suoi incubi cinematografici. Il risultato però è un tour de force tortuoso e a tratti insostenibile per lo spettatore.

Beau ha paura recensione tutta colpa di mamma

Se Sigmund Freud fosse ancora vivo e potesse andare al cinema con regolarità, il suo regista preferito sarebbe con tutta probabilità Ari Aster. Di fronte a un film imbevuto di subconscio, psicoanalisi, traumi edipici e umorismo ebraico come Beau ha paura si spellerebbe le mani a furia di applausi, ridendo fragorosamente scena dopo scena.

Per chi invece ha amato e apprezzato Ari Aster come regista di horror unici e atmosferici, Beau rischia di essere una sfida da cui è difficile uscire vincitori. Pur inglobando tutti i temi e gli elementi che innervavano la trama di Hereditary e Midsommar, stavolta Aster si allontana dal genere horror e dal cinema mainstream più accessibile. L’aspirazione è quella di dimostrarsi cineasta e autore, preferendo un film più personale e autoriale alle precedenti esplorazioni horror, che da esordiente gli hanno permesso di esplorare le sue ossessioni e nevrosi facendosi notare.

Beau ha paura, recensione: tutta colpa di mamma

La famiglia era e rimane il luogo più spaventoso dove vivere, almeno secondo il cinema firmato da Aster. Sotto un tetto condiviso c’è quasi sempre la paura strisciante che le colpe e le nevrosi delle madri vengano ereditate dai figli (Hereditary), che la fine di un legame affettivo o familiare lasci una persona priva di senso e incapace di essere indipendente (Midsommar).

Beau ha paura quindi non esplora nuovi temi, ma torna a riflette sulle millenarie ossessioni ereditate da Aster, che poi sono quelle che hanno perseguitato secoli, millenni di autori. Dalla tragedia greca ai flussi di coscienza della letteratura d’inizio Novecento, passando per Freud, la madre rimane un essere che nutre e castra il figlio maschio, in una relazione dai sottotesti morbosi.

Mentre spacca il due il suo cervello, mentre eviscera il suo rapporto paralizzante con il materno, Ari Aster strattona con sé lo spettatore, trascinando nella mentre di Beau e nella sua psiche di cineasta. È perfettamente consapevole che sarà un viaggio poco confortevole per molti, tedioso oltre il tollerabile per tanti, ma non sembra importargliene granché.

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Di cosa parla Beau ha paura

Beau Wassermann vive nel nostro mondo, ma in Beau ha paura lo esploriamo da dentro la sua testa, finendo in una versione surreale e nevrotica della realtà.

Joaquin Phoenix e il giovane Armen Nahapetian interpretato il protagonista titolare della storia in vari momenti della sua vita, per gettare luce sul rapporto che più di ogni altro ha plasmato la sua esistenza: quello con la madre.

Beau ha paura mette in scena l’incubo finale del figlio ansioso di essere all’altezza delle aspettative della sua genitrice: mancare un incontro con lei, che poi si rivelerà cruciale e irripetibile. Ansioso rispetto al giudizio materno ma al contempo desideroso di stare più lontano possibile dalla madre, Beau vive una vita solitaria e quasi monastica, in un appartamento spoglio e senza personalità.

Il mondo esterno è inospitale, terrorizzante: un sogno lucido, un incubo alimentato dalle paranoie di Beau, convinto che tutti ce l’abbiano con lui e tutti vogliano fargli del male. Così le strade per cui Beau si muove sono piene di assassini, folli, violenti, il palazzo dove vive di sconosciuti che lo minacciano e gli rubano le chiavi di casa.

Investito da un furgone nel tentativo patetico di non deludere la madre e raggiungerla quanto prima, Beau si ritrova a vivere un incubo familiare totalmente differente. Nathan Lane e Amy Ryan interpretano i due coniugi che l’hanno investito e che si prendono cura con affetto di Beau, salvo poi rivelarsi intrappolati in una relazione malsana con un figlio morto e il di lui traumatizzato commilitone.

Divorato dall’ansia di raggiungere il prima possibile la madre, sempre più pavido e arrendevole di fronte a chiunque si relazioni con lui con prepotenza, Beau affronterà un viaggio allucinato e surreale nel mondo ostile esteriore e interiore, arrivando alla resa dei conti con la madre, che l’ha castrato in ogni modo possibile in gioventù e che gli impedisce di diventare l’adulto che dovrebbe essere.

Beau ha paura, recensione: tutta colpa di mamma

Cosa funziona e cosa no in Beau ha paura

Beau è l’incubo peggiore dello spettatore occasione che al cinema cerca un po’ di relax, intrattenimento di facile fruizione e magari qualche brivido horror. Pur raccontando senza paure i terrori indicibili di un uomo paranoico e spaventato da tutto, Beau ha paura non è un horror, bensì una sorta di trasfigurazione di un racconto personale, in chiave comica.

Fondato su una sensibilità e un’ironia radicate nella cultura ebraica, percorso da tutto ciò che la psicoanalisi ci ha raccontato del nostro subconscio, Beau è un racconto intimo e personale che fa chiedere allo spettatore “come la prenderà la madre di Aster?”, tanto sa essere brutale nel rivelare certi non detti dolorosi da confessare. La sua è una visione prettamente filiare e maschile, familiarissima a chiunque abbia frequentato abbastanza il cinema autoriale da aver assistito alle nevrosi di altri autori alle prese con il rapporto irrisolvibile con le loro madri.

Zoe Lister-Jones soprattutto Patti LuPone sono le degne eredi di Toni Collette in Hereditary, incarnazione di una madre che ispira terrore e sudditanza nel figlio. Lo scambio tra una LuPone minacciosa e il pavido Phoenix in odor di ribellione è eccezionale, così come tutta una serie di scene che regalano un climax dietro l’altro, soprattutto nella parte finale.

Ari Aster però ha forse anticipato troppo i tempi nel raccontarsi in maniera così personale. Il film è troppo sbilanciato, schiacciato da un talento autoriale evidente da tempo, ma che forse per scarsa esperienza, forse per giovane età sfugge più volte al suo controllo. Tanto Hereditary e Midsommar erano centrati nel mettere a fuoco, attraverso le loro visioni, i rapporti familiari su cui si fondavano, tanto Beau ha paura è episodio, aneddotico, respingente e talvolta pesante con premeditazione e dolo da parte di Aster.

Beau ha paura, recensione: tutta colpa di mamma

A24 l’ha fatto crescere e gli ha dato grande libertà creativa, ma forse stavolta il regista avrebbe avuto bisogno di un po’ di limitazioni. Tre ore di lucido e folle incubo materno sono troppe, specie considerando che l’umorismo alla Roy Andersson che frammenta il film in mille incubi con un crescendo sincopato che improvvisato che ricorda il jazz sono davvero troppe, anche per il cinefili più agguerriti.

Rimangono un pugno di scene memorabili, una grande Patti LuPone, una produzione scenografica e costumistica di grande espressività e la promessa di un talento. Appena saprà tirare le redini quando necessario, ci regalerà film incredibili. Beau ha paura a quel punto sarà un figlio nato morto, un errore di percorso necessario prima di raggiungere l’eccellenza.

Beau ha paura

Durata: 180'

Nazione: Stati Uniti

5

Voto

Redazione

TISCALItestatapng

Beau ha paura

Sprazzi di grande cinema annegati in una discorso convoluto, contorto e, come spesso accade a Ari Aster, meno brillante di quel che il suo creatore ritenga. Se non fosse così impegnato a torturare il suo spettatore e rinunciasse a un’oretta di lucida follia, Aster avrebbe potuto cavare dal buco un grande film autoriale, comunque divisivo, ma di certo più riuscito. Purtroppo non è andata così.

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