Benedetta, recensione: eretico è chi l’amore tra suore fa
Si dice che al giorno d’oggi niente più scandalizzi, soprattutto in campo sessuale. Di fronte a un film come Benedetta di Paul Verhoeven, si capisce bene quanto sia falsa quest’affermazione. La recensione.
Si dice che al giorno d’oggi niente più scandalizzi, soprattutto in campo sessuale: il sesso non fa più notizia, anzi, non è raro imbattersi in persone (soprattutto tra i giovanissimi della generazione z) che reagiscono con un po’ di fastidio agli intercorsi amorosi nei film, quasi fossero un di più, un vezzo. Eppure gli anni ‘90 delle scene tra le lenzuola ficcate a forza anche laddove stonavano, perché “il sesso al cinema vende e ci deve essere” sono più lontani che mai.
Basta pensare agli assessuati eroi Marvel, che presumibilmente si riproducono per partenogenesi. Una landa così arida di passione che a fare notizia fu, all’uscita di Eternals, proprio la castissima scena amorosa presente nel film. La prima dai tempi del primo Iron Man.
Il sesso è così importante al cinema? Basta guardare dieci minuti di Benedetta di Paul Verhoeven per capire quanto si è perso negli ultimi anni in tema di rappresentazione e capacità di raccontare la sessualità. Il sesso al cinema non ci scandalizza più perché è quasi scomparso e quando c’è così sterilizzato, pulito, coreografato, disinnescato proprio di quella componente che lo rende scabroso, taciuto, trasgressivo. Non siamo noi più a nostro agio con la sessualità raccontata, esibita, testimoniata e vissuta: è il cinema che se ne guarda bene dal mettercela davanti, se non in rare occasioni e accuratamente mondata da quello che può farci male.
Certo piazzare chiunque davanti a un provocatore come Paul Verhoeven, forse l’ultimo vero provocatore in attività del cinema d’oggi, è una cura Ludovico. Lui che negli anni ‘80 e ‘90 scandalizzava prima la Danimarca e poi Hollywood con le sue pellicole feroci, eccessive ed esplicite - Robocop, Basic Instict, Starship Troopers, Showgirls - non ha mai smesso di graffiare, di andare a segno. Lo sta facendo però lontano da una Hollywood che di registi di questo tipo non sa più cosa farsene.
Verhoeven in Europa però non ha smesso di provocare, raccontando due temi portanti della sua filmografia anche in anni recenti: il sesso appunto e un rapporto conflittuale con il cristianesimo, spesso condito da una feroce passione antifascista, un femminismo vecchio stampo ma autentico, mai di facciata. Verhoeven è uno che le donne le ama raccontare, mostrare, esplorare e non solo nelle loro carni. Imbattersi nella storia di Benedetta Carlini deve essere stata per lui un’illuminazione sulla via di Damasco.
Continua a leggere la recensione di Benedetta per capire se è il film giusto per te:
Di cosa parla Benedetta
Benedetta di Paul Verhoeven è un adattamento cinematografico di un incredibile saggio firmato da Judith C. Brown, storica specializzata nel Rinascimento italiano che nel 1986 dà alle stampe Immodest Acts. Il libro ricostruisce l’incredibile storia di Benedetta Carlini, badessa del convento di Pescia che dovette subire un processo per eresia in cui raccontò quella che ai nostri occhi, oggi, appare come una storia d’amore e passione lesbica.
L’aspetto divertente e dirompente di Benedetta è che è tutto basato su puntuali verbali degli interrogatori e testimonianze della stessa protagonista e della sua amante e consorella, che raccontano anche la loro relazione fisica nei minimi dettagli in un’epoca in cui l’amore tra donne era quasi inconcepibile, dato che il gentil sesso era considerato da molti senza un’anima. Stavolta quindi a provocare, oltre a Verhoeven, c’è anche la verità di una storia che ci racconta il Medioevo come un’epoca sorprendentemente complessa e contemporanea.
Interpretata da una Virginie Efira consacrata proprio da questo ruolo a nuova stella del cinema francese, Benedetta è l’assoluta protagonista di una vicenda che la vede come una suora di giovanissima età dalla fede esemplare in Gesù Cristo e dalle violente passioni spirituali e carnali, che sembrano sfociare in miracoli e stigmate. Quanto c’è di vero nei doni e nelle visioni che Gesù starebbe inviando alla sua prediletta e quanto invece è frutto di una mente che, una volta assaggiato il potere, fa di tutto per mantenerlo e accrescerlo?
Cosa funziona e cosa no in Benedetta
Come ogni film di Paul Verhoeven, uno che non perde mai tempo a spiegarsi o a sottolineare l’ironia come tale, Benedetta non è davvero adatto a tutti, anzi. Riservato a un pubblico adulto per le tante scene di sesso esplicito presenti nel suo montaggio, Benedetta sorprende sotto molti versanti e si rivela essere un’opera davvero estrema, in ogni senso, senza compromessi e senza senso della misura.
Leggendo la trama ci si potrebbe aspettare un film erotico o un dramma storico molto teso e politico. Benedetta invece sorprende subito con un tono da commedia irriverente e a tratti slapstick, in cui Virginie Efira e la madre badessa interpretata da Charlotte Rampling sono ai due antipodi di una lotta di potere che si trasforma spesso in una gara verbale di battute fulminanti.
Il filtro attraverso cui Verhoeven legge il personaggio di Benedetta è quello della sua giovane età combinata alla sua scarsa conoscenza del mondo esterno a quello del convento. Benedetta è l’equivalente di una post adolescente pazza del cantante della sua band preferita. Solo che quel cantante è Gesù Cristo, protagonista delle sue fantasie erotiche e romantiche adolescenziali a cui lei, palesemente, non sa dare nome o forma, interpretandole come pure visioni mistiche.
L’approccio secolare e dissacrante di Verhoeven ci concentra un Medioevo puntuale nei costumi e nei set ma reso in technicolor e fuochi d’artificio per quanto riguarda la viva immaginazione e la passione della sua protagonista. Un approccio che, unito all’amore smisurato che Verhoeven ha per l’eccesso, ci restituiscono un film che non si esita a definire trash, o quantomeno kitsch. È davvero difficile riconciliare questo Medioevo con quello pio, bigotto, credulone e religiosissimo che siamo abituati a immaginarci.
Verhoeven prende i documenti storici riguardanti Benedetta e li piega alla sua visione, che diventa un racconto di passione e di potere, in cui l’ambiguità sottile riguardante la protagonista - ci è santa o è solo assetata di potere - suggerisce una risposta abbastanza definita. Durante la visione riderete molto: con Benedetta, di Benedetta (Verhoeven raggiunge livello di kitsch e talvolta di cattivo gusto sinceramente imbattibili) e anche d’imbarazzo, a riprova della potenza del discorso che fa il regista.
L’unico vero limite di Benedetta è che non è così semplice vedere il suo vero valore politico e storico oltre la confezione priva di eleganza e mediazione in cui Verhoeven lo presenza. È come se ci venisse ficcato in gola qualcosa che, assaggiato con la giusta calma, faremmo meno fatica ad apprezzare. Detto questo, se amate le provocazioni e siete annoiati dal compromesso, Benedetta è un film che nel bene e nel male non dimenticherete di certo. Anche solo per il colpo da maestro di una statuina votiva di legno che, fidatevi, vi farà trasecolare.
Senza dimenticare una Virginie Efira che con questo film si è presa un rischio notevole - non tutte le protagoniste di Verhoeven sono sopravvissute ai suoi film in termini di carriera - che però l’ha ampiamente ripagata.