Biancaneve è il peggior remake live action Disney, ma non per il motivo che pensi
Il remake live action di Biancaneve è davvero tremendo, ma non per i motivi che infiammano social e media in queste ore.

Quando uno studio come Disney comincia a fare da giocoliere con la data d’uscita di un film, diventando il bersaglio preferito di articoli di scherno della stampa e tenendo sotto sequestro le attrici protagoniste non invitando i media sul tappeto rosso della prima mondiale della suddetta pellicola, non è esattamente difficile intuire come la stessa sia un disastro annunciato. Quelle messe in atto da Disney in quest’ultimo mese erano vere e proprie manovre di contenimento di una crisi annunciata, persino più plateali del solito.
Biancaneve esce a poche settimane da Mickey17, film la cui data di lancio è stata trattata con appena un modicum in più di sottigliezza da parte di uno studio rivale (Warner Bros) che aveva capito da tempo di avere per le mani un potenziale flop e tentava di contenere i danni.

Biancaneve è brutto per ragioni inaspettate
L’aspetto interessante di Biancaneve è che è un disastro esattamente quanto il sentimento negativo che lo circonda faceva presagire, ma per motivazioni differenti da quelle attese. Non è un film brutto o mal riuscito perché la protagonista non ha l’incarnato latteo, perché fa la scelta pigra di creare i nani in computer grafica senza utilizzare degli attori in carne e ossa come il resto del cast (anche se è una nota di demerito), perché il principe è una versione no logo di Robin Hood (con tanto di calzamaglia verde). Nemmeno perché una delle attrici ha passaporto israeliano e ha fatto la leva militare e l’altra è diventata persona non grata su Twitter perché ha osato dire che Biancaneve, che interpreta, non era il suo film preferito da piccola e anzi non le piaceva, risultando forse un po’ spigolosa.
No, al netto dell’umore permalosetto e incontentanbile della bolla dei social, le scelte artistiche di questo remake like action potrebbe, almeno sulla carta, avere un senso. L’avevano 13 anni fa, quando uno studio concorrente propose la sua versione di Biancaneve, guerriera in armatura che combatteva una regina cattiva per davvero in una dinamica in cui c’era pochissimo spazio per nani e principi. Biancaneve e il cacciatore di Rupert Sanders (2012) non è esattamente un capolavoro, ma un decennio dopo ha cristallizzato un modo di rileggere un classico che parla del tempo in cui è stato concepito e realizzato, esattamente come il Biancaneve animato che fondò il canone Disney.
Anche questo Biancaneve parla del nostro tempo, in cui il pubblico è così pigro che preferisce andare a vedere - pur lamentandosene - l’ennesimo remake di una storia vista e stravista piuttosto che dare una possibilità a una originale come, appunto, Mickey17. Non si capisce perché Disney dovrebbe smettere di fare questi live action se, per quanto brutti e poco riusciti, il loro box office sia più sicuro di un film nuovo, originale, magari interessante.

Biancaneve ha infiniti buchi di trama e contraddizioni
Biancaneve in un certo senso interessante lo è anche, ma per come sbaglia su tutta la linea, davvero, dall’inizio alla fine. Il film si apre con la protagonista che, appunto, non è bianca come la neve ma viene battezzata così perché “domò la neve”. È la prima, enorme impasse di una sceneggiatura confusa come se blaterasse in stato d’ebbrezza, piena di storture e ripensamenti e idee buttate lì a casaccio e poi abortite nel giro di cinque minuti. I genitori di Biancaneve desiderano una figlia ma non ne hanno, rimangono bloccati in una tormenta di neve con la carrozza e arriva la bambina che “ha piegato la neve”. Non è chiaro in che senso, da dove spunti la neonata, se abbia o no poteri magici. Verso fine film addirittura spunta un fiocco di neve che fa presagire un momento alla Frozen con Biancaneve Elsa che scatena una tempesta di neve ma no: è solo un fiocco di neve solitario che cade in un bosco che sembra immerso in un’atmosfera primaverile, così, a caso.
Biancaneve cresce come la principessa di questo regno in cui tutti condividono le ricchezze e le risorse: una sorta di kibbutz - utopia comunista in cui tutti insieme fanno torte di mele, in un controsenso tale che non si capisce perché la famiglia reale debba vivere nel castello e gli altri no. Spunta ovviamente la matrigna malvagia dopo la canonica morte disneyana di un genitore. Spunta dal nulla, portando con sé egoismo e capitalismo e distruggendo la libertà e la spensieratezza del regno. C'è anche un fantomatico malvagio regno del sud nominato di continuo ma che, in ultima istanza, serve solo ad alimentare il mistero sulla morte del padre della protagonista.
Da qui il film prende una deviazione molto più convenzionale, guardando al classico animato con un paio di svolte modernizzate (Biancaneve che approfitta di “Provate a fischiettar” per far rassettare la casa ai nanni mentre lei balla una sorta di tiptap austroungarico). Salvo poi ricacciarla nella foresta dove troviamo il suddetto non-principe Jonathan, Robin Hood senza titolo ma nei fatti, con cui sboccia una storia d’amore. Il bacio al centro di infiniti commentari sociali femministi c’è ed è forse questa la vera notizia. L’inversione di tendenza di una serie di live action Disney in cui il punto cardine era una principessa che era troppo impegnata a salvare sé stessa per avere un principe.
La trama, insomma, funziona solo per chi come la sottoscritta di lavoro deve tirar fuori editoriali e punti di vista in punta di penna sul cinema con cadenza settimanale. È così ricolmo di appigli da cui partire per tirar fuori sparate in chiave politica e sociale (sia a sinistra sia a destra) che è un autentica manna. Il che dà un’idea di quanto sai incoerente e mal scritto.

Il comparto tecnico di Biancaneve impressiona in negativo
Il comparto tecnico è impressionante, in negativo. Marc Webb alla regia è davvero irriconoscibile, accompagnato da una fotografia che fallisce miseramente nel dare un aspetto coeso e unitario al film. Si ha l’impressione di poter capire nettamente quali pezzi siano stati girati in esterna, nei boschi, e quali negli studi di posa. E questo è un altro limite enorme del film, che sembra posticcio, finto, impostatissimo, con i movimenti dei protagonisti calibrati al millimetro su un palco, o chissà, magari con le nuove tecnologie di cui Disney va così tanto fiera in grado di ricreare una scenografia o un’esterna su schermo con incredibile realismo. Il problema è che non si respira mai un mondo, un’atmosfera: tutto è macchinoso, impostato, come la vetrina di un negozio, una casa di bambola.
Persino i costumi, che dovrebbero essere un sine qua non di film come questo, sono singolarmente respingenti nella loro estetica. L’impressione è che vogliano richiamare una sorta di estetica montana (in italiana diremmo sud tirolese) ma la resa è davvero, davvero misera. Non trasmettono ricchezza, lusso, sfarzo di stoffe e maniche a sbuffo e non sono così innovativi o inventivi da muoversi nella direzione dell’originalità.
Cosa si salva dunque? Niente, considerando che le canzoni originali create per il film sono abbastanza anonime e simili tra loro. Forse la performance di Rachel Zegler, che ha un talento canoro eccezionale e capacità da interprete etera già misurate in West Side Story (il remake di Steven Spielberg) ma con il doppiaggio e il cantato italiano bisogna andare abbastanza sulla fiducia, perdendo nell'adattamento proprio il suo punto di forza. Il doppiaggio però sembra aiutare e parecchio la recitazione sopra le righe e talvolta proprio stonata di Gal Gadot, mettiamola così.

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Nazione: Stati Uniti d'America
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Redazione

Biancaneve (2025)
Biancaneve non è un disastro perché osa cambiare i presupposti della fiaba originale (che la maggior parte delle persone, tra l’altro, conosce nella versione apocrifa e traditrice di Walt Disney) ma perché con questi cambiamenti non combina davvero nulla, se non mettere su un film confusissimo e contraddittorio, pieno di buchi di trama. Per giunta il comparto tecnico che in un live action Disney si tenderebbe a dare per assodato è davvero, davvero scadente. Spiace solo per i ben intenzionati coinvolti in questa operazione, che ne escno con le ossa rotte. Un film che meritava di finire direttamente su piattaforma, lasciando spazio a opere più meritevoli della sala.