Bird Box

Fra le tante leggi non scritte del cinema vi è quella che dice: la colpa più grande per un regista non è tanto girare un brutto film, quanto annoiare lo spettatore. Se poi il film è un horror o un thriller, la colpa è ancora più grande, dal momento che senza una tensione reale, anche il più efficace dei soggetti rischia di sgonfiarsi come una torta mal cucinata.

Bird Box, film Netflix tratto dal libro di Josh Malerman, già parte con un debito di creatività pesantissimo, riproponendo paro paro lo scenario di E venne il giorno: in tutto il mondo alcune persone iniziano a suicidarsi senza motivo, e i sopravvissuti, nel tentativo di trovare un rifugio sicuro, devono anche cercare di capire le cause dell’epidemia di suicidi. Se nella pellicola di Shyamalan a causare l’impazzimento erano le piante, qui la pulsione suicida arriva dopo la visione di un ‘qualcosa’: che cosa? Fantasmi? Alieni? Creature soprannaturali?

Non c’è tempo per scoprirlo, e nemmeno per scrivere una sceneggiatura originale, evidentemente: nella pellicola diretta da Susanne Bier e sceneggiata da Eric Heisserer (Arrival) assistiamo, infatti, all’assemblaggio di un gruppuscolo di sopravvissuti che più stereotipato non si potrebbe. Si va dall’invasato lettore della Bibbia, al cinico maschio di mezza età (un John Malkovich ormai col pilota automatico) fino ad arrivare all’eroina fragile-ma-mica-tanto, interpretata da una Sandra Bullock di rara goffaggine – quasi una versione meno simpatica del suo personaggio di Gravity.

Dopo Shyamalan, quindi, si finisce dritti dritti dalle parti di The Mist, L’alba dei morti viventi o The Walking dead, con i vari survivors prima asserragliati in un supermercato, poi in fuga dalle creature, mentre il body count aumenta inesorabilmente e le poche idee originali (la visione delle creature non ha lo stesso effetto su tutti gli esseri umani...) vengono sprecate da una messa in scena decisamente svogliata.

La fiera delle citazioni (meglio, dei plagi) non risparmia nemmeno l’universo videoludico, con uno scenario che nella terza parte del film riprende toni e atmosfere di The last of us e le condisce con scopiazzature di A quiet place, ma senza la forza e la tensione del videogame Naughty Dog e della pellicola di John Krasinski – quest’ultima paradossalmente più carente a livello di sceneggiatura ma decisamente superiore nella messa in scena.

Resta, alla fine, l’impressione di un film abbastanza inutile, che non sfigurerebbe come opera young adult ma che fallisce miseramente nel tentativo di rivisitare sia il thriller soprannaturale sia il survivor movie. Colpa anche del materiale di partenza, probabilmente.