Borderlands: Cate Blanchett è l'unica cosa che ricorderemo: la recensione del film
Un cast sorprendentemente ricco, capitanato da una mercenaria Cate Blanchett non riesce a nobilitare un film che fatica a spiegare il successo di questa saga videoludica. La recensione di Borderlands.
Il primo intento di un salto crossmediale di un franchise, ovvero del passaggio da un tipo di vettore narrativo a un altro, dovrebbe essere sempre quello di portarsi dietro con lampante chiarezza la sua qualità. Detto in parole semplici: il primo e prioritario obiettivo di un film tratto da una saga di videogiochi di successo come Borderlands dovrebbe essere quello di rendere lampante per un pubblico più vasto, che magari non ha mai giocato agli stessi, perché sono tanto amati e apprezzati. Questo obiettivo il titolo diretto da Eli Roth lo manca completamente, perché nel film di Bordelands che co-scrive e dirige si fatica a trovare un carattere distintivo, una personalità spiccata, una storia avvincente e originale che possa aver sedotto e conquistato milioni di videogiocatori.
Non ci si trova di fronte a un film brutto in toto, ma forse la sentenza è ancora peggiore: Borderlands è un film inconsenquenziale, che appare all’improvviso davanti ai nostri occhi, non sembra aver particolari motivi d’esistere e si consuma con sprazzi di divertimento ma davvero quasi nulla di memorabile. Per un film che vorrebbe avere come diretta conseguenza la nascita di un franchise, significa aver fallito la missione. Solo in tempo dirà se ci avevo visto giusto io o Lionsgate, che ha finanziato l’operazione. Dovessi fare una puntata stile roulette, mettere tutto sul rosso o sul nero, le mie finche finirebbero su “finirà nel dimenticatoio nel giro di un anno”.
Blanchett è - volente o nolente - ciò che ricorderemo in Borderlands
Ci sono film che, semplicemente, fanno tutto abbastanza bene ma non sembrano mai veramente esistere a livello di personalità. Il dettaglio che spicca di più di Borderlands è la presenza nei panni della protagonista Lilith di un’attrice come Cate Blachett. Il che dice moltissimo della carriera che si è costruita, del rispetto e della considerazione di cui gode, perché tra performance da Oscar e film di spiccatissima autorialità, l’attrice negli anni ha timbrato più volte il cartellino nell’universo della pop culture con blockbuster movie fatti e finiti. Prima c’è stato il ruolo di Galadriel della trilogia tolkeniana di Peter Jackson, poi quello della cattiva Hela in Thor: Ragnarok che ha segnato il suo ingresso nel Marvel Cinematic Universe.
Eppure il singolo dettaglio più discusso, chiacchierato e vivido dell’intera operazione Borderlands è la presenza di una Cate Blanchett dai capelli rosso fuoco. Che forse Borderlands sia proprio partito con il piede sbagliato, a livello di percezione collettiva, lo doveva capire dal fatto che a Blanchett è stato chiesto (con tono di malcelata costernazione) perché avesse detto sì a questo ruolo. La risposta poi è stata il proverbiale ultimo chiodo nella bara: per la “follia COVID”, perché il marito che la vedeva tutto il tempo in giardino con la tosasiepi le ha detto di accettare il ruolo che “poteva salvarle la vita”.
In effetti Cate Blanchett è una presenza che si amalgama poco al resto del film. La grazia con cui s’infila nei suoi vestiti da mercenaria punk e e l’abilità con cui snocciola battute un po’ stantie da cacciatrice di taglie che non vuole parlare del suo passato sono fuori luogo in un film che non riesce mai davvero ad elevarsi sopra la soglia di una medietà quasi mediocre e totalmente trascurabile.
Borderlands risulta molto prevedibile nei suoi colpi di scena
Gli eventi della pellicola ricalcano abbastanza fedelmente quelli del primo capitolo della saga e si svolgono sul pianeta Pandora, una sorta di Arrakis punk che non ce l’ha fatta ed è diventato una discarica e un posto poco raccomandabile. Lilith sul pianeta c’è nata ed è ancora molto conosciuta, ma se ne tiene ben alla larga, almeno fino a quando non viene assoldata per ritrovare Tiny Tina (Ariana Greenblatt), la figlia di un richissimo magnate industriale che può permettersi di pagare Lilith abbastanza da vincere le sue ritrosie.
Solo che Tiny Tina non è stata propriamente rapita e non ha voglia di tornare dal padre ed è per giunta inseguita da altri mercenari e circondata da due protettori: il soldato Roland (Kevin Hart) e l’energumeno Krieg (Florian Munteanu). Lilith si ritrova così a seguire e proteggere una ragazzina che sa di essere la prescelta per compiere un’importante missione. Un tempo infatti il pianeta era controllato dalla ragazza degli Eridiani, che si dice abbiano lasciato dei covi sotterranei ricchissimi della loro avanzata tecnologia. Per questo Pandora è percorso da migliaia di esploratori, alla ricerca delle tre chiavi necessarie per aprire la porta di questo fantomatico nascondiglio.
Eli Roth non dà niente d'interessante da fare alle tante star che scrittura
Nel film c’è anche spazio per una Jamie Lee Curtis che interpreta una scienziata il cui ruolo nella storia è così laterale che si sarebbe potuto tagliare in toto e un Jack Black che dà la voce a Claptrap, forse l’unico personaggio carismatico e intrigante del film. Basta seguire un paio dialoghi tra il robottino auto-riparante misteriosamente svegliatosi all’arrivo di Lilith sul pianeta e la protagonista per indovinare con precisione dove si andrà a parare nel gran finale. Borderlands proprio fatica a sorprendere lo spettatore, specie quello cresciuto con i film ad ambientazione fantastica degli anni ‘90 e dei primi ‘00.
La ragazzina prescelta che sembra innocente ma si dimostra persino un po’ sadica, il mercenario distaccato che in realtà si prendere a cuore i destini della giovane che dovrebbe riportare a casa, il personaggio energumeno mascherato affezionato alla piccola, il soldato pronto a sacrificarsi per consentire al gruppo di mettersi in salvo…Borderlands seleziona una sequenza infinita di questi tropi ampiamente sfruttati da cinema (e videogiochi) negli ultimi 20 anni. Il problema non la mancanza di originalità, o almeno, lo è in un altro senso. A Borderlands non va rimproverato tanto il mettere insieme una narrazione con tanti passaggi “obbligati” dal modo in cui queste storie vengono solitamente raccontate, quanto piuttosto come non riesce ad esprimere un carattere suo, qualcosa che lo renda un film singolare, che lo faccia spiccare.
Non si respira aria di un nuovo mondo tutto da esplorare su Pandora, quando piuttosto dell’usuale frullato aggregatore di echi dalla seconda trilogia di Star Wars, dal solito Mad Max, persino da Dune. Al resto del cast comunque composto da star viene dato pochissimo da fare e alcuni di loro, come Hart, si adeguano mestamente a dare quel che lo stereotipo alla base del loro personaggio prevede.
A rimanere abbastanza incolore, a sorpresa, è anche la regia di Eli Roth. Una guida dinamica e di carattere forse avrebbe potuto dare alla pellicola parte dell’identità che le sfugge nella sua incarnazione filmica. Invece Roth stupisce in negativo, optando per realizzare un titolo molto convenzionale per come viene gestito il suo racconto per immagini. Un dettaglio rivelatore: nel videogioco le armi, la loro personalizzazione e le loro capacità extra sono parte di un gameplay molto avvincente. Nel film invece le pistole impugnate dai protagonisti sono anonime, armi a fuoco come tante altre o il cui design è sì punk, ma senza mai suscitare nello spettatore casuale il sospetto che possano ricoprire un ruolo importante.
Borderlands insomma è l’ennesimo caso di un tentativo di sparare un franchise nella mischia, sperando si aggrappi alla memoria dello spettatore e gliene faccia desiderare di più. Questo però senza il passaggio obbligato del chiedersi come rendere la storia avvincente per chi la incontra per la prima volta e chi non vede l’ora di rituffarcisi in una versione meno interattiva della precedente.