Butterfly
Risulta sempre difficile trovare un equilibrio all’interno di un docufilm. I rischi sono sempre quelli dell’eccessivo didascalismo tipico dei documentari. Dall’altra parte, qualora la fiction prendesse troppo spazio ci si potrebbe esporre al pericolo di perdere la nozione di veridicità tipica del documentario. Butterfly è un eccezionale mix fra le correnti di pensiero. Un docufilm che riesce a bilanciare le anime di coloro che lo hanno scritto e diretto e coloro che lo hanno vissuto in prima persona. In alcuni momenti si perde quasi la memoria sul fatto che vi sia una parte documentaristica, mentre in altre parti il didascalismo è forte e si propende per l’area documentario. Insieme si riesce a muoversi lungo un percorso accidentato per quanto riguarda la storia stessa, ma chiaro e leggero – nonostante le vicissitudini – per il pubblico.
Irma Testa è la prima donna italiana di sempre a qualificarsi alle Olimpiadi (Rio 2016) nelle gare di pugilato. L’attesa è grande, grandissima. I media impazzano e le aspettative sulla ragazza sono anche troppo esagerate. Irma ai quarti di finale perde fragorosamente e da quel momento il suo futuro diventa un immenso punto interrogativo.
Ai registi e sceneggiatori Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman risulta quasi funzionale la sconfitta della ragazza, perché le storie dei vincenti piacciono fino ad un certo punto (‘così è meno scontato’, afferma il coregista statunitense). Specialmente quando il percorso non è particolarmente accidentato. Irma è considerata una predestinata. Invece mostra le debolezze che caratterizzano tutte le diciottenni (‘le mie fragilità’, le chiama) e, sovrastata da una pressione che una teenager non è in grado di controllare, finisce giù. All’inferno degli atleti. Prima sconfitta sul campo. Poi sconfitta interiormente, quando non sa più cosa fare della propria vita. Non avere una figura di riferimento come il padre, poi, non aiuta, anzi. Ritorno al passato o stringere i denti e continuare su un percorso che fino a quel momento si è rivelato fallimentare? Irma Testa cercherà di trovare una sua dimensione. E accompagna il pubblico in sala nel bene e nel male: nella discesa negli inferi e nella ricerca del ritorno in paradiso.
La pellicola è veramente one for the ages, di quelle che passa una volta ogni tanto. Un piccolo capolavoro. Piccolo perché tratta in fondo di una ragazza di periferia che tenta la scalata sociale tramite lo sport. Ma un capolavoro perché dà allo spettatore una grande carica emotiva, una forte carica umana. Le immagini sono originali: il pianto subito dopo la sconfitta di Rio è vero, come vere sono i litigi tra i familiari: ‘Non sapevo ci stessero riprendendo in quei momenti. Quando vidi la sconfitta cominciai a piangere copiosamente’, ha raccontato la stessa Testa ai giornalisti in conferenza stampa.
È l’anima documentaristica dei due registi che hanno girato il mondo e lavorato in varie situazioni. Quel modello di lavoro che permette al docufilm di spostarsi sul lato ultradocumentaristico. La realtà oltre la realtà, zero finzione. Postrealtà. Cassigoli e Kauffman ci vogliono parlare di caduta e rinascita, di Olimpiadi, di grandi storie. Per farlo cominciano dalla periferia della periferia: Torre Annunziata. Sembra un altro mondo. Distante anni luce dai grandi centri europei: i bambini giocano per strada, alcuni di loro non vanno a scuola, alcune regole della strada non sono considerate. C’è sporcizia, rumore. È quasi un’altra società. In questo i registi sono molto didascalici. Anche nei momenti indoor, ossia nelle palestre. Sia nel modo di spiegare che nel modo di riprendere. Gli zoom sui primi volti sono figli di una scuola di regia ben precisa che tra anni ’60 e ’70 ha fatto la fortuna degli autori ed il piacere del pubblico.
Con due registi affiatati – sono al secondo lavoro assieme nel giro di due anni, sebbene su Butterfly ci lavorassero già dal 2015 – le parti tecniche sono assolutamente curatissime. Anche da questo si può vedere l’origine professionale dei due. L’area musicale è di buona caratura, ma è certamente d’impatto nella misura in cui riprende gli stati d’animo della protagonista. Ad un momento triste, la colonna sonora associata è cupa. In un momento esaltante, la canzone è vivace. Le riprese sono fluide e il montaggio aiuta. Ovviamente essendo una pellicola che ha a che fare con lo sport ha dei momenti in cui richiede più staticità e dei momenti in cui è necessario più dinamismo: Cassigoli e Kauffman ci riescono alla grande. Anche perché Butterfly è un docufilm in cui lo sport è un mezzo. Non è una pellicola sportiva. E’ più sulla scorta di grandi capolavori quali Toro Scatenato (‘purtroppo lo avevano già girato’, ci scherza su il regista italiano), Million Dollar Baby e Foxcatcher (pur ‘non avendo un film di riferimento’). Un dramma nel quale lo sport è metafora di vita e che rappresenta gioia e dolori, croce e delizia della protagonista e dell’ambiente circostante.
Ma Butterfly non solo è una storia vera (come tante altre pellicole), ma l’idea di romanzare il percorso naturale degli eventi non è proprio presa in considerazione: gli 80 minuti di pellicola sono specchio della realtà ‘portati al limite’, come sottolinea Cassigoli. Sorrisi e lacrime sono quelle. Insuccessi e vittorie. Perché dopo gli insuccessi possono arrivare le vittorie. E quando si ottengono dopo esser caduti all’inferno ed essere transitati per il purgatorio danno una soddisfazione incredibile. Si cambia, si cresce: ‘Una persona se è bella è bella in tutti i suoi aspetti: positivi o negativi. Adesso non ho paura a mostrare le mie paure o la mia fragilità’. Fragilità, elemento oggi riconosciuto e rispettato all’interno del miglior prospetto pugilistico femminile del Belpaese. Un elemento essenziale per costituire quell’animo umano che non nasconde il fatto che se non fosse stato per il suo vecchio maestro, Lucio, la sua vita avrebbe preso un’altra piega, possibilmente molto negativa: ‘Lucio Zurlo è la persona che mi ha salvato. Tutti dovremmo avere un maestro Zurlo che ci porta via e ci salva’.
Irma Testa è salva e lotta con noi e per noi. Porta avanti il tricolore italiano in giro per il mondo. Lo fa con lo spirito di sacrificio costituitosi negli anni, sporcandosi le mani di sudore, fatica, lacrime e sangue. Una storia di determinazione, che racconta lo stato d’animo di una ragazza semplice. Una ragazza che ce l’ha fatta.