Capitan Harlock

di Marco Modugno
Non saprei quindi come interpretare il silenzio raccolto, interrotto solo dal normale chiacchiericcio sommesso, che ha seguito la riaccensione delle luci. Ho cercato di interpretare le espressioni in sala e di chiedere qualche commento ad alcuni dei tanti giovani spettatori presenti. Notando, in risposta, quel tipo di sguardo imbarazzato di chi proprio non se la sente di annientare in un colpo solo un mito di tre decenni e passa, ma che se aprisse bocca e desse la stura ai pensieri, sarebbe l'unica cosa che riuscirebbe a fare. E allora meglio tacere, lo capisco. Con l'eccezione di un giovane astrofisico, che alla fine é sbottato. “Ahò! Certo che con tutte quelle supercazzole scientifiche che hanno tirato fuori, tipo l'eccitazione quantica dei neutrini plasmatici per generare un campo ondulatorio di mesoni diafasici, ‘sto film mi pareva uno di quegli sproloqui di Sheldon di Big Bang Theory!”. Colpito e affondato, capitano!



Per chi ancora non si é stancato di leggere, aggiungo una doverosa nota logistica sullo svolgimento della premiere del film. Passi che la produzione abbia deciso, per imperscrutabili esigenze di marketing, di riempire tutti i posti in sala di un multiplex romano lasciati liberi dai giornalisti accreditati con altrettanti utenti scelti a colpi di click sulle pagine di un social network o di telefonate ai programmi d'intrattenimento di un noto network radiofonico della capitale. Nulla vieta, infatti, a chi scrive per lavoro, di sedersi gomito a gomito con giovani appassionati convenuti per scoprire le novità di uno dei personaggi più amati dell'animazione nipponica. Quel che invece si riesce a giustificare molto meno é che i professionisti della stampa siano costretti a scatti da centometrista o ad acrobazie da saltimbanco per assicurarsi un posto da cui assistere alla proiezione con un confort accettabile. Sono arrivato per tempo, al mio solito, e ho potuto sedermi al centro, in quinta fila, e vedere e sentire bene. Comodamente sistemato al mio posto, in mezzo tra due gruppi di simpatici giovani iinvitati grazie alla loro velocità nel prenotarsi sulla pagina di Facebook, ho assistito alla scena di colleghi non più giovanissimi, abituati ad essere coccolati dalle produzioni in occasioni di festival e vernissage e costretti invece, stavolta, a vagare per la sala con sguardo stravolto, alla ricerca degli ultimi posti rimasti.

Posso immaginare quanta benevolenza, questi colleghi e colleghe, abiano voluto riservare a un film che sono stati costretti a visionare semisdraiati, con il collo torto e cincischiando Travel Gum a tutta birra, passando la metà del tempo della proiezione a incastrare mentalmente nella loro agenda già piena qualche irrinunciabile seduta dal fisioterapista, e l'altra metà a maledire i pierre di Lucky Red che non hanno saputo prevedere nemmeno l'ovvio. Non ci vuole uno scienziato, infatti, per pensare di riservare qualche decina di poltrone centrali, pari almeno al numero di giornalisti invitati, in posizione tale da garantire a tutti quelli che vengono per lavorare una buona visione. Oltre magari a consegnare, assieme al voluminoso e ridondante fascicolo stampa contenente sinossi, presentazioni dei personaggi (con i nomi sbagliati...) e financo la biografia della nonna di Mashimoto e del cognato del regista, uno o due gadget del film, come spesso usa, invece di limitarsi al tradizionale sorriso e all'altrettanto gratuita stretta di mano. Inutile sperare, che ve lo dico a fare, in un caffé offerto a fine proiezione... Piccole attenzioni a costo quasi zero che avrebbero abbassato di parecchio il PH medio dell'inchiostro nel quale i giornalisti così maldestramente ospitati intingeranno la penna per le loro recensioni. Amen.