Chi segna vince, recensione: Taika Waititi e Michael Fassbender a rischio retrocessione

Chi segna vince non è un film brutto, ma lascia un sapore amarissimo in bocca: Taika Waititi e Michael Fassbender potrebbero e dovrebbero puntare più in alto

Chi segna vince recensione Taika Waititi e Michael Fassbender a rischio retrocessione

Dato che si parla di calcio, partiamo da una metafora sportiva, calcistica: guardare Chi segna vince su grande schermo è come seguire una partita in cui un giocatore e un allenatore di serie A scendono in campo con le riserve di una squadra di Lega Pro e tentano, in qualche modo, di creare un bilanciamento in campo. Certo qualche cross e passaggio spettacolare si vedono, non mancano tiri in porta, ma l’impressione che se ne ricava è che ci siano due persone in campo che dovrebbero giocare altrove, in campionati più impegnativi e prestigiosi. Taika Waititi è l’allenatore, Michael Fassbender il giocatore: entrambi tentano di spingere il film in una direzione, ma la pellicola sembra andare da un’altra parte, creando una dissonanza tale da lasciare sconcertati.

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Una storia vera non basta a Chi segna vince per emozionare

D’altronde Chi segna vince ci racconta la storia sportiva più banale ma esaltante di tutte, che per giunta abbiamo già sentito raccontarci tantissime volte: quella di uno sfavorito, di uno perdente che insegue il suo sogno e riesce ad alzare la testa, tra l’incredulità e lo scherno generale, facendo leva sul spirito di squadra, sulla voglia di vincere ma anche di non perdere i propri valori per farlo.

Anche stavolta si tratta di una storia vera: quella della nazionale di calcio delle Samoa Americane, finita in fondo al ranking mondiale dopo un’umiliante sconfitta 31 - 0 contro l’Australia nel girone di qualificazione. In questa storia c’è anche un bianco salvatore: Thomas Rongen, ex calciatore olandese finito ad allenare negli Stati Uniti e poi approdato nelle Samoa Americane per aiutare la squadra a raggiungere un traguardo modesto ma apparentemente irraggiungibile. Non qualificarsi, non vincere un incontro, bensì segnare il suo primo goal in una partita ufficiale dei gironi di qualificazione.

La storia vera su cui è basato il film risale al 2011, ma sembra sin troppo datata per arrivare al cinema oggi. Waititi, che ha co-scritto la sceneggiatura del film, ne è perfettamente consapevole, tanto che nella pellicola stessa rende esplicita la presenza dello stereotipo del “salvatore bianco”. Solo che, per come è raccontata la storia, Chi segna vince è proprio la fiaba di un salvatore bianco che ha la compiacenza di essere salvato a sua volta dagli isolani che allena. Non solo: Michael Fassbender incarna un punto di vista drammatico, un uomo con problemi di alcol e di rabbia, che viene versato dentro un calderone di storie e personaggi marcatamente comici, buffi e un po’ strambi. I due elementi rimangono costantemente separati, come acqua e olio, rendendo più impacciato un film che fatica a tenere i suoi ritmi comici o a credere fino in fondo ai suoi dolori e drammi.

Chi segna vince, recensione: Taika Waititi e Michael Fassbender a rischio retrocessione

Chi segna vince sceglie una prospettiva vecchia per raccontare la sua storia

L’impiccio è evidente e probabilmente era chiaro allo stesso creatore della pellicola. Se avesse avuto le mani libere forse Waititi avrebbe puntato sul coefficiente indigeno di questa storia, facendo forza sulle sue origini e sulla sua prospettiva maori. Waititi è infatti figlio di un membro della tribù Te Whnau--Apanui e di una donna di origini europee. Fuori dal campo, conosce sulla sua pelle questo genere di storie, questo dover venire a patti tra culture e schemi di gioco bianchi e non per raggiungere un traguardo comune: la sua scalata a Hollywood non è priva di questa componente.

Le storie degli isolani potrebbero fornire l’elemento di parziale novità capace di far brillare il film, dandogli carattere. Film che abbonda di punti di vista più freschi e frizzanti di quello di un europeo che affronta un trauma annegandolo nell’alcol. La parabola personale e sportiva di Jaylah (Kaimana) è l’elemento più accattivante del film, la sua storia meriterebbe forse una pellicola parte, di cui non sia più protagonista ombra. Oppure perché non narrare il film dall’ottica di Nicky Salapou (Uli Latukefu), il portiere che ha subito la sconfitta più umiliante della storia dei mondiali ma al contempo ha difeso la sua squadra dal un risultato ancor più disastroso?

O perché non farne un film ancor più collettivo, mostrando cosa comporti davvero mantenere in vita una squadra di calcio che partecipa ai mondiali su un’isola con 57mila abitanti, un sostrato culturale ricchissimo, una componente religiosa “d’importazione” parimenti impattante e la necessità di lavorare duro pur “vivendo in un paradiso”? La risposta è semplice: perché senza la forza dei nomi di Waititi e Fassbender, questo sarebbe l’ennesima pellicola indie da Sundance con una visibilità internazionale minima.

Chi segna vince, recensione: Taika Waititi e Michael Fassbender a rischio retrocessione

Waititi e Fassbender giocano al ribasso

Qui però siamo anni luce dietro a una pellicola commerciale ma riuscita come Jojo Rabbit. La mano di Waititi è evidente, così come la sua inclinazione verso un tono scanzonato, il suo approccio positivo alla vita, al capacità di sorridere durante le avversità. Tuttavia intervallate a battute riuscite ci sono scambi fiacchi, banali. Non mancano poi lezioncine moraleggianti, pistolotti edificanti e persino sermoni, letteralmente sermoni, declamati da Don Taika Waititi, che non resiste alla tentazione di infilarsi ancora una volta nel suo stesso film nei panni di un prete predicatore che non apporta davvero nulla alla trama e al risultato finale.

Dentro Chi segna vince c’è una storia più incisiva, c’è una voglia di riscatto indigena che in teoria ben si sposerebbe con l’attuale momento cinematografico, che da True Blood a Killers of the Flower Moon ha trovato il modo per raccontare bene e in maniera avvicente questo tipo di storie. Invece è lo stesso Waititi, come regista e co-sceneggiatore, a banalizzare all’estremo la sua storia, a puntare sui passaggi sbagliati, a non dare a Fassbender niente da fare nel film che dovrebbe segna il suo ritorno in scena dopo una pausa dalle scene. Era andata decisamente meglio a Scarlett Johansson con Jojo Rabbit.

A uno come Taika Waititi non richiede poi questo enorme sforzo portare a casa un film di questo tipo, specie avendo a disposizione due interpreti come Michael Fassbender ed Elisabeth Moss, senza dimenticare l’ottimo cast samoaiano. Tuttavia per il regista questo progetto ha il sapore della sconfitta. Non è difficile pensare che l’idea alla base della produzione fosse quella di sfruttare l’onda lunga del successo di Ted Lasso, portando su schermo una storia che ha lo stesso elemento calcistico bizzarro, la stessa parabola sportiva di perdenti che cambiano mentalità, lo stesso focus sulla salute mentale e l’elaborazione della perdita. Chi segna vince però è così privo di mordente, d’ambizione, di voglia di fare bene che fa sembrare certe partitelle delle primaverili all’oratorio avvincenti quanto una finale dei mondiali. Manca la voglia, manca l’ambizione, sembra un progetto fatto per assolvere un obbligo contrattuale. Un film sulla passione sportiva privo di passione e coinvolgimento non può che naufragare e lasciare insoddisfatti.

Waititi riesce a salvare Chi segna vince grazie al suo talento registico e comico, dopo averlo messo lui stesso in difficoltà con una scrittura sciapa, prevedibile, semplicistica, che punta davvero sugli elementi meno interessanti e più datati di una storia vera che avrebbe meritato ben altro obiettivo che tirar fuori un epigono cinematografico di Ted Lasso.

Chi segna vince

Rating: Tutti

Durata: 104'

Nazione: Stati Uniti

5.5

Voto

Redazione

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Chi segna vince

Chi segna vince è un film minore, trascurabile, che lascia freddi, sottoutilizzando l’ottimo duo di salvatori bianchi - Moss e Fassbender - che ha tra i protagonisti. Solo se avete davvero voglia e bisogno di buoni sentimenti al cinema.

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