Cinquanta Sbavature di Nero

Antefatto: la stesura di questa recensione comincia con la sottoscritta che controlla se sia possibile assegnare zero come votazione finale al film e rimane un po' interdetta dallo scoprire che almeno un logo di Gamesurf dovrà illuminarsi di giallo alla fine di questa pagina.
Questo episodio potrebbe aprire e chiudere la questione e invero mi riesce difficile spendere altre parole per un film che di straordinario ha solo la capacità di riuscire a superare in bruttezza il suo tanto vituperato modello e predecessore Cinquanta sfumature di grigio.



L'impresa di realizzare una parodia alla Scary Movie in effetti é complicata in partenza dalla sfumatura involontariamente parodica che l'originale portava con sé. Difficile insomma che la storia di Hannah (Kali Hawk), controparte afroamericana dell'originale Anastasia, strappi qualche risata quando già le patturnie di Dakota Johnson ci avevano fatto ridere di sottecchi in sala. Certo che Cinquanta sbavature di nero non fa davvero nulla per farsi notare se non in chiave negativa e si limita a seguire pigramente la storia originale, trasformando però tutti i protagonisti in membri della comunità nera statunitense, senza nemmeno curarsi troppo di spiegare la contraddizione di Christian Black (Marlon Wayans) ricco grazie alla famiglia adottiva ma truffatore e ladro senza mai un problema con la giustizia.

Questa però é una riflessione di fino per un film a grana grossa, che coagula le sue battute grevi e rozze in grumi dove si concentrano battutacce a sfondo sessuale, i peggior stereotipi sulla comunità nera, sessismo, razzismo e nemmeno un briciolo di sensualità, che ancora una volta latita del tutto in una pellicola in cui é supposto sia assolutamente centrale.
Assistiamo così una versione incredibilmente peggiore della studentessa timida e impacciata che va a intervistare il misterioso e affascinante imprenditore multimilionario con il vizietto della dominazione sessuale.


Una storia blanda e stereotipata che ci aveva già annoiato la prima volta e il cui unico elemento di novità sta in una manciata di battute e gag visive che riescono nell'impossibile impresa di far rimpiangere persino le punte più basse della carriera di Eddy Murphy.
Non é che ci provi gusto a sparare a zero su questo film, ma in un periodo di giuste rimostranze della comunità di colore statunitense sul suo ruolo secondario, questo film é il solito, clamoroso autogol, che la relega nell'angolo riservato a quell'immagine grottesca che si accusa la Hollywood bianca e razzista di aver costruito e perpetrato.