Cocaine: La vera storia di White Boy Rick

La carriera di Matthew McConaughey è quanto mai esemplificativa di tutti i vizi e le virtù del sistema hollywoodiano contemporaneo. Non tanto perché l'interprete texano porti avanti una vita dissoluta (tutt'altro: appare molto devoto anche in sedi ufficiali come la cerimonia degli Academy Awards). Ma perché anche per lui quello che sembrava l'apice invece si è rivelato essere un pozzo senza fondo.

Come Colin Firth e Anne Hathaway (premiati rispettivamente con un Oscar nel 2011 e nel 2013) la carriera di McConaughey a seguito di "Dallas Buyers Club" e del riconoscimento come miglior attore non è riuscita a spiccare il volo (anche se non ci sentiamo di parlare di declino). Se escludiamo infatti il noliano "Interstellar" poche sono state le interpretazioni cinematografiche dell'attore degne di nota. E la partecipazione a serialità come "True Detective" ha rappresentato più una valvola di sfogo di fronte a una situazione senza sbocchi che una vera e propria scelta deliberatamente artistica.

La cosa fa ancora più riflettere se consideriamo che la carriera di McConaughey era iniziata nell'ambito delle commedie sentimentali e del cinema leggero (quello appannaggio di Jennifer Lopez, per intenderci) e che solo nell'ultima decade era riuscita ad assumere una certa dose di protagonismo nell'ambito del cinema autoriale e di qualità (fondamentale in questo senso una pellicola-spartiacque come "Killer Joe" di William Friedkin). La crescita esponenziale dunque, non si è rivelata essere fioriera di sorti magnifiche e progressive.

In quest'ottica va vista la partecipazione dell'attore nel thriller "Cocaine - La Vera storia di White Boy Rick" del regista anglo-francese Yann Demange. Si tratta di un film a dir poco surreale, in cui secondo un canovaccio tipico del cinema contemporaneo si intende raccontare "una storia vera". La vicenda si svolge a Detroit, nel bel mezzo dell'epoca reaganiana. E tratta del giovane Rick, così poco integrato nella società da frequentare perlopiù spacciatori di colore ed altri personaggi di dubbia provenienza.

Un giorno il giovane Rick (interpretato da un esordiente quanto mai inespressivo Richie Merritt) diviene l'uomo dei record: avendo l'Fbi scoperto che il padre (McConaughey) è coinvolto in traffici poco leciti di armi, Rick viene spinto a diventare il più giovane collaboratore (ha 14 anni) della storia delle forze dell'ordine. Deve quindi acquistare droga in modo da produrre prove tangibili nei confronti di spacciatori già adocchiati da parte dell'Fbi.

Col tempo diviene così abile che decide di dare una svolta alla sua vita turbolenta (oltre al padre poco di buono, ha anche una sorella tossicodipendente) e si mette in proprio spacciando egli stesso droga. La storia di per se può anche essere interessante, seppur inflazionata, ma l'esito è quanto mai bizzarro. Demange realizza un film dal ritmo frenetico, ma in cui il montaggio è affidato ad un tecnico dalla schizofrenia rara. Alcune sequenze vengono interrotte in blocco, i dialoghi appaiono così paradossali da produrre quasi un effetto comico (aspetto questo che in potenza potrebbe spingerci a catalogare il film nel novero delle pellicole di genere postmoderno) e le interpretazioni lasciano a desiderare.

Il ruolo di McConaughey è portato avanti con un'evidente scarsa convinzione da parte dell'attore Premio Oscar, che è costretto a fingersi stupito e incredulo di fronte ad una storia poco convincente e realizzata male. Nel film vi è anche una piccola parte per il grande Bruce Dern, che però non solo compare pochissimo in scena ma addirittura è condannato ad un ruolo (quello del nonno di Rick) decisamente poco caratterizzato e quasi sprecato per un interprete che sa farci sognare sin dai tempi di pellicole come "Driver l'imprendibile".

L'impressione è dunque quella di assistere ad una concatenazione poco professionale di scene inutili (quella a Las Vegas, per esempio), in cui lo spettatore sa difficilmente districarsi tra i personaggi di questa storia scritta male e andata peggio. Per quanto "Cocaine" (presentato all'ultimo Festival di Telluride) si inserisce in una scia ben definita della filmografia a stelle e strisce, l'effetto non può che essere quella dello stupore e della tenerezza. Non soltanto nei confronti di una storia scritta male. Ma anche nei confronti di un sistema come quello dello Studio System che a differenza che negli anni gloriosi del passato, non riesce ad accompagnare le proprie star (come McConaughey) nei confronti di esiti convincenti o di carriere convincenti. Dopo il Premio Oscar, si rischia di finire o nell'oblio o nell'universo della Marvel e dei suoi fratelli. E' proprio vero.