Comandante, recensione: Favino e De Angelis tengono a galla l’orgoglio italiano a Venezia
Dopo anni di pellicole italiane in concorso a Venezia spesso sconfortanti, la “riserva” Edoardo De Angelis regala alla Mostra un’apertura ambiziosa, importante, di cui andare fieri: la recensione di Comandante.
Comandante è un film di cui andare fieri, in quanto cinefili italiani. È un’affermazione forte, netta e che soprattutto va chiarita nel novero, sin dalle prime righe di questa recensione. Al centro del film infatti c’è una storia vera di guerra e fasci, in cui la parte degli eroi la fanno dei fascisti italiani. Tuttavia gli intenti del film non potrebbero essere più lontani da una rievocazione di una vuota, retorica nostalgia per il “bel tempo” del Ventennio. Comandante racconta invece quanto l’identità nazionale sia un compromesso e come, alle volte, sia la solidarietà tra ultimi il vero collante sociale del paese dei mille campanili.
Quella di Salvatore Todaro è una vicenda ambientata negli anni ‘40, ma che parla allo stretto presente e da lì si origina. Il regista e co-sceneggiatore Edoardo De Angelis ha raccontato di essersi interessato all’evento cardine del film solo dopo averlo sentito citare dall'ammiraglio Giovanni Pettorino nel 2018, quando l’alto grado espresse dissenso rispetto alla decisione del governo italiano di dare una stretta all’operato delle ONG nel Mediterraneo. In chiusa del film Todaro dice che chi non salva un naufrago seguendo l’unica legge che conta, quella del mare, sarà maledetto.
In apertura invece il film mostra una citazione di un marinaio russo salvato da alcuni ucraini nel 2022: in mare tutti sono alla stessa distanza da Dio, quella del braccio che si sporge per salvarti. Quindi sì, Edoardo De Angelis e Sandro Veronesi (che hanno sceneggiato il film e scritto la novelizzazione dello stesso, già in libreria) hanno dimostrato che è possibile maneggiare una storia potenzialmente tacciabile di nostalgia fascista scampando il pericolo di essere tale, raccontando qualcosa sul bordello putrido e meraviglioso che era ed è l’Italia, esplorando dentro e fuori di stereotipo gli elementi su cui si fonda l’identità nazionale.
Per farlo scende in campo l’interprete in cima alla Power List del Cinema Italiano stillata da Best Movie nel 2022: Pierfrancesco Favino, la cui bravura nel cambiare panni e accenti è ormai oggetto di bonarie prese in giro, nella speranza che anche gli stranieri mettano a fuoco il suo potenziale.
Anche quando bestemmia e dà del mona alla sua ciurma per dare loro la carica, cimentandosi con il Veneto e sentendo nostalgia della sua Laguna, di Sottomarina e della sua Rinuccia, conferma quanto sia pregevole e fuori scala il suo talento.
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La trama e la storia vera che ha ispirato di Comandante
Nell’autunno del 1940 Salvatore Todaro è il comandante del sommergibile Cappellini, inviato dalle autorità italiane nell’Atlantico con la comanda, generica e pericolosa, di tendere agguati a navi nemiche. I suoi uomini lo credono un mago, un veggente: è consapevole di cose ancora di là da venire, pratica yoga, consulta una sorta di santone che parla per vaticini scritti in greco antico.
Dopo un ferimento sul campo di battaglia, Todaro ha una comoda scappatoia a portata di mano. La schiena a pezzi, potrebbe usufruire della sua invalidità e vivere accanto a sua moglie e suo figlio, al sicuro dalla fame e dalla guerra. Il comandante però ama il mare e non vuole sfuggire al suo dovere: torna dunque sul campo, con una missione pressoché suicida, nel 1940. Dovrà superare lo stretto di Gibilterra eludendo le difese inglesi e arrivare nell’Atlantico, senza un obbiettivo preciso se non quello di abbattere navi nemiche.
Con un misto di retorica da Ventennio, cameratismo militare e innata propensione per il comando, Todaro porta i suoi uomini nell’Oceano, ma non incrocia mai navi inglesi da affondare. Una notte le sue vedette individuano il Kabalo. Un mercantile belga (quindi in teoria neutrale) naviga a luci spente, contravvenendo alle regole. La nave comincia a sparare sul Cappellini, che si difende a finisce per affondarla. Dal Kabalo buttano a mare due scialuppe con dei sopravvissuti. Una viene individuata, l’altra è nel nulla acquatico, distante dalla terra ferma, i suoi 26 occupanti destinati a una morte lenta, atroce.
Violando il regolamento militare e le consuetudini naziste, Todaro decide di salvare i marinai nemici, prendendoli a bordo. È decisione gravida di conseguenze sia per lui, sia per il suo equipaggio, sia per il sopravvissuti del mercantile Kabalo.
Questo è l’evento storico che ispira il film: un atto d’insubordinazione di un comandante che, quando gli viene chiesto il perché del suo gesto, risponderà*: perché sono italiano.*
Comandante è un film di cui essere orgogliosi
Comandante è un film di cui andare fieri, di quelli che sono più unici i che rari tra le produzioni nostrane. 14 milioni di euro di budget, spesi soprattutto per ricostruire gli interni e lo scafo di un sommergibile di cui esistono così poche testimonianze fotografiche che lo scenografo e il gruppo di lavoro di Comandante hanno dovuto lavorare per supposizioni, ipotesi. Un film che ha discreti effetti speciali, per giunta.
Si tratta in tutto e per tutto di una pellicola che abbraccia il suo genere con convinzione. È un film di guerra ambientato nella “pancia di un pesce di ferro”, completo di battaglie spettacolari, morti eroiche, episodi di cameratismo e discorsi motivazionali tenuti ovviamente da Favino, che con il dialetto veneto se la cava ma in fatto di carisma non ha davvero bisogno di lezioni.
Anche Edoardo De Angelis fa tantissimo per confezionare un film d’ambizione internazionale, che racconti questa storia agli italiani ma anche che racconti l’Italia nel mondo. Un’Italia fascista più di mostra che di fatto, un miscuglio regionale di convinzioni e superstizioni pressoché inconciliabili, ma poi risolte di fronte all’amore per il cibo, per la musica, all’orgoglio nazionale, anche se poi per ciascuno essere italiano significa una cosa diversa.
De Angelis da regista cura ogni scena in maniera certosina, abbondando (talvolta troppo) in costruzioni visivamente intriganti del singolo fotogramma. I corpi dei marinai in coperta a fumare, Favino nudo nella vasca da bagno con la moglie Rinuccia che lo guarda languida col cappello della Marina di tre quarti sul capo, la corsa subacquea del corallaio di Torre del Greco che tenta di liberare il sommergibile da una mina inglese. C’è una transizione stupenda che restiuisce in un singolo taglio la notte spaventosa dei naufraghi del Kabalo, rimasti senza scialuppa.
Nel 2019 i cugini francesi hanno realizzato The Wolf's Call - Minaccia in alto mare, un incredibile film d’esordio ambientato a bordo di un sottomarino. Comandante è costato la metà e gli tiene testa: un’affermazione non così scontata, che riempie il cuore d’orgoglio.
Un’altra cosa che questo film fa davvero bene è dare al pubblico internazionale ciò che si aspetta dal cinema e dal popolo italiano, muovendosi dentro gli stereotipi più triti, ma riempiendoli di senso, d’autenticità, d’umanità. C’è una scena che ha strappato risate e applausi in sala in cui, guarda caso, si parla di cibo. I belga insegnano agli italiani a fare le patatine fritte, dicendo che le hanno inventate loro. Il cuoco di bordo, Gigino, si dice sorpreso: strano che non ci fossero arrivati i napoletani, che per indole friggono di tutto. Poi spunta perfino un mandolino e un brivido corre sulla schiena, perché quasi nulla è più allarmante agli occhi di un vero italiano alla Modugno di vedere un film brandire lo strumento musicale più stereotipato dal capitano Corelli in giù. Specie se si comincia a cantare 'O surdato 'nnammurato. Tuttavia De Angelis a quel punto ha fatto talmente tanto e talmente bene che anche il mandolino ci sta.