Companion, recensione: quanto sono horror gli umani, robottina mia

Pur con più di un scivolone e impasse, Companion centra il bersaglio. Non le inquietudini di una società robotica, ma quelle del delicato ego maschile.

Companion recensione quanto sono horror gli umani robottina mia

O tempora, o robot! Companion è l’ennesimo film che prende spunto da una visione utopica che si rivela puntualmente distopica: un futuro sempre più vicino, in teoria, in cui a fare da dolci metà agli umani saranno dei robot inconsapevoli di esserlo e programmati per sostenere emotivamente tutte le mancanze e le perversioni delle loro parti in carne e ossa.

L’ha fatto di recente con risultati miserrimi Kill Your Darlings con protagonsita Florence Pugh, si è spinto ben oltre Ex Machina che ha rivelato il talento di Alex Garland come regista e sceneggiatore, fino a risalire al quasi capostipite del filone, La fabbrica delle mogli (The Stepford Wives) è un film del 1975, di cui esiste un remake girato nel 2001.

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Companion è un piccolo horror di modeste dimensioni produttive, che segna l’esordio alla regia di Drew Hancock, anche sceneggiatore della pellicola. Al giorno d’oggi d’altronde la via più facile per esordire al cinema è un horror di contenuti costi, con un cast di facce nuove o non proprio lanciatissime, che attragga il pubblico affezionato al genere (uno dei più affidabili al box office) sulla base di una premessa magari non originalissima, ma sempre stuzzicante.

Il vero oggetto d'indagine di Companion è l'ego maschile

La faccia più nota qui è quella di Jack Quaid, che sembra averci preso gusto con il suo typecasting tipo da ragazzetto con la faccia pulita che sotto sotto si rivela una canaglia di rare proporzioni. In questo frangente è Josh, il classico tech guy con la macchina che si guida da sola e la fidanzata robotica, Iris.

La protagonista androide è invece Sophie Tatcher, già addocchiata in Maxxxine, qui alla prima prova importante di carriera. Il film si apre con l'incontro magico al supermercato con l’impacciato uomo del suo destino, che seguirà in una lussuosa casa lontano da tutto e da tutti, per un weekend da trascorrere con il ricco proprietario russo dell’alloggio, la sua fidanzata Kat velenosa e arrogante (Megan Suri) e una coppia di amici gay dall’intesa perfetta.

Prevedibilmente Josh non è il ragazzo timido, rispettoso e innamorato che vuole dare a vedere e Iris, dolce e devota, si ritrova a dover fare i conti con un destino scritto nella sua natura robotica, con dei limiti piuttosto crudeli imposti dalla sua costruzione e dal suo padrone. Non può mentire, può fare affidamento solo sul grado d’intelligenza che Josh le accorda, non può attaccare nemmeno per legittima difesa, nemmeno per evitare il dolore che è programmata per provare.

Companion prova ma riesce solo in parte a sovvertire lo schematico approccio di questo tipo di storie, in cui è sempre una lei robotica ad avere a che fare con un lui umanamente diabolico. Il risultato di queste premesse varia in un range abbastanza variegato. Ci sono film che riflettono sui limiti umani in rapporto alle potenzialità illimitate della tecnologia, ci sono altri che si concentrano sui bisogni umani che questa fantasia (perversione?) robotica realizza. Companion appartiene decisamente a questa seconda categoria e convince nel finale proprio per come renda chiarissimo che il suo focus è il lato umano, anche nel caso di Iris, la robottina.

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Un esordio un po' impacciato, come la sua protagonista robot

Nello schema generale della trama, talvolta rivela tutta la sua inesperienza. Per esempio una volta stabilite le leggi della robotica di Asimov della situazione, si ritrova malamente a dover forzare la mano per progredire nel racconto. Si dà delle regole e poi le piega con spiegazioni un po’ pasticciate. Diciamo che è meglio goderselo senza stare a pensare troppo alla logica interna della storia.

D’altronde il punto qui non sono proprio le implicazioni tecnologiche su come nella nostra società parte dei nostri bisogni affettivi vengano riversati su software e hardware a cui demandiamo il compito difficile di rimediare a nostre mancanze relazionali. Il punto di Companion è un altro: è come spogliato di tutti i suoi ingentilimenti e delle sue cortesie di facciata, un certo tipo di relazione amorosa è basata su un rapporto di potere di cui la parte forte può approfittarsi o no.

Companion ci dice che non importa chi è umano o chi è robot: chi ama davvero lo fa in maniera altruistica, cercando di ovviare alle mancanze dell’altro, di mitigare il proprio egoismo. Per altri invece l’amore è un gioco di forza per esercitare al pieno il proprio egoismo, rassicurando sé stessi rispetto alle proprie debolezze.

Le parti migliori del film sono proprio quei piccoli tocchi di cattiveria assoluta che rivelano, in piena luce, la bassezza del protagonista. Geniale è per esempio il soprannome che dà alla sua fidanzata robot: BeepBop, un nomignolo di cui lei ignora la sottile natura irrisoria, ma che lui pronuncia davanti a tutti, sminuendola.

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Più il film progredisce più Josh si rivela meschino e gretto, ma anche lontano dall’essere astuto o crudelmente geniale. Per esempio setta l’intelligenza della sua robottina al 40%, per non sentirsi minacciato dalla stessa, che comunque, anche al 100%, non le darebbe accesso ad altro che un grado d’istruzione molto elevato.

Nel crescendo finale del film il vero protagonista si rivela essere Josh, nel suo sentirsi frustrato per un ruolo di vittima che si è cucito addosso sopra la sua identità di carnefice, che non riesce neppure a vedere. Coadiuvata da una buona prova di Sophie Tatcher, la companion robot Iris diventa invece emblema di quelle situazioni moralmente vischiose da cui chi soffre e subisce fatica a districarsi, proprio perché ama in maniera generosa, gratuita, abituato a soffrire per sentire il sentimento.

Companion è un horror molto gradevole da vedere e un esordio promettente per Drew Hancock e il suo cast, seppur con qualche scivolone importante nell’architettura della trama. Il suo maggior pregio è quello di seminare nella sua storia numerosi tocchi di genuina cattiveria per ritrarre tutta la debolezza e la meschinità della traballante mascolinità del protagonista maschile della storia, interpretato con grande divertimento da un Jack Quaid che sa esattamente come venderci questo tipo di personaggi.

Companion
6

Voto

Redazione

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Companion

Uno dei maggiori meriti di Companion è quello di trasmettere un messaggio preciso sulle relazioni tossiche, capendo a quali profondità può spingersi senza strafare ma lavorando per tutta la sua durata (saggiamente molto contenuta) per accompagnare a una visione divertente almeno un paio di spunti interessanti di riflessione. Considerando quant’era deludente Kill Your Darling che partiva da premesse simili con un cast e un budget ben più ambiziosi, tenendo a mente che è un debutto registico che per calendario e produzione è stato concepito e realizzato per essere un riempitivo di seconda fascia, non c'è davvero male. Certo nel suo sviluppo rimane molto traballante e la coerenza interna della trama lascia molto a desiderare, ma rimane comunque è una visione gradevole, anche grazie a una Sophie Tatcher davvero adorabile. 

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