Conclave è in perenne bilico tra film serio e americanata e in questo (e in Ralph Fiennes) sta la sua forza: la recensione

Conclave sa trasformare una liturgia millenaria in una detective story appassionante, senza rinunciare al gusto per il rilancio in grande stile: la recensione.

di Elisa Giudici

Conclave è in perenne bilico tra film serio e blockbuster pacchiano e in questo (e in Ralph Fiennes) sta la sua forza: la recensione

Un po’ giallo con il morto papale, un po’ lotta di potere, un po’ film stilisticamente appagante: Conclave è sempre sull’orlo del pacchiano, ma rimane sempre dalla parte giusta, anche grazie a un cast straordinario.

Conclave sa trasformare una liturgia millenaria in una detective story appassionante, senza rinunciare al gusto per il rilancio in grande stile: la recensione.


Guardando Conclave appare immediatamente chiaro che noi non siamo il pubblico di Conclave, un film volto a spiegare a chi italiano non è cosa significhi avere sotto casa il Vaticano. Bastano poche sequenze per capire come le liturgie millenarie di Santa Madre Chiesa Cattolica siano abbracciate da uno sguardo che ne è affascinato in quanto le vive come profondamente estranee, esotiche e misteriose. Il papato come un mistero da risolvere, almeno per chi non ha un’infanzia passata ai campetti dell’oratorio, con l’amico chierichetto e una cultura così innestata e innervata dal cattolicesimo da dare per scontato e normale ciò che per questo film è invece meritevole d’indagine e racconto.

L’identità di Conclave è fieramente internazione, esattamente come il gruppo di vescovi di cui racconta le vicende. Dietro Conclave infatti c’è uno scrittore di best seller inglese come Robert Harris, un regista tedesco cone Edward Berger e una produzione internazionale con la solita, incredibile casting director Nina Gold che ha selezionato talenti incredibili da mezzo mondo. Il cast è il punto forte di Conclave, perché riesce a dare una profondità psicologica e caratteriale ai protagonisti clericali. Il livello di talento impiegato va oltre la media e nei passaggi cruciali della narrazione fa la differenza tra un film commerciale come tanti e uno che sta battagliando con i migliori dell’annata per un posto agli Oscar.

Conclave racconta in maniera avvincente una lotta politica tra papabili

Da consumato romanziere dal taglio cinematografico qual è, Harris capisce subito su quali componenti pigiare per rendere la storia coinvolgente: quella del giallo e quella della lotta di potere. Siamo in Vaticano, il Papa è morto e il decano cardinal Thomas Lawrence (Ralph Fiennes) è pronto a presiedere un conclave che si preannuncia molto combattuto. Dopo un papato incredibilmente lungo e abbastanza innovativo dal punto di vista liturgico e teologico (il riferimento è quello di Giovanni Paolo II), la Chiesa si trova a un bivio: eleggere un erede progressista come l’americano cardinal Bellini (Stanley Tucci) e proseguire sulla strada di un profondo rinnovamento o ritornare nel solco della tradizione con il moderato canadese cardinal Tremblay (John Lithgow)? C’è anche la possibilità di una via di mezzo: eleggere il primo papa africano (Lucian Msamati), una scelta epocale che nasconde però un candidato profondamente tradizionalista.

Il romanzo è ispirato all’elezione di Bergoglio al soglio papale e il film si muove sulla falsariga dell’elezione di Papa Francesco, ma è così sintonizzato sulle frequenze politiche presenti da avere un quarto papabile che potremmo definire populista, interpretato da un irresistibile Sergio Castellitto. Goffredo Cardinal Tedesco, espressione della conferenza episcopale italiana più tradizionalista, ottimo oratore, profondo conoscitore della teologia e capace di catalizzare le paure di chi vede nel rinnovamento uno snaturamento della Chiesa. È il candidato populista: pragmatico, cinico, capace di battute tranchant memorabili e di commenti silenziosi altrettanto incisivi quando svapa irritato dalla sua sigaretta elettronica color rosso cardinalizio.


In seno a questa lotta di potere degna di una serie di fantapolitica come House of Cards o The West Wing si consuma un’altra storia d’importa gialla. Nel tentativo di svolgere il conclave in piena correttezza, il decano infatti inciampa in una lunga serie di segreti che potrebbero compromettere alcuni dei candidati. Da qui il dilemma politico: svelarli oppure no? Indagare o guardare dall’altra parte? Un conflitto da amministratore che si innesta in quello più profondo, spirituale: Lawrence infatti vive una crisi spirituale profonda e il processo faticoso e talvolta fratricida del conclave rischia di distruggere la sua fede già in macerie.

Conclave sembra davvero un film investigativo

Conclave è un film che sembra già un classico, probabilmente perché guarda a un modo di fare cinema a cui siamo profondamente disabituati. È una produzione europea che si muove con cura e studiata eleganza pur volendo parlare a un pubblico il più trasversale possibile per età, interessi e nazionalità. Di fatto è un bignami quasi documentaristico per quanti non hanno nemmeno le basi di cosa sia un conclave (forse nemmeno di cosa sia il papato), reso intrigante e avvicente dalla fiction politico-mystery che gli viene costruita attorno. C’è un morto (il Papa) e il nostro tormentato detective non cerca l’assassino, quanto piuttosto il successore meritevole del trono del Vaticano.

Il tutto in una cornice particolare e molto caratterizzante: maschile, patriarcale, liturgica, anziana. Un’ambientazione che rende ancor più imprevedibile l’esito finale della storia, dove voglia andare a parare, perché come nella realtà è un contesto che pare immobile e in cui è meno evidente il cambiamento e il rigetto e la reazione conservatrice e reazionaria allo stesso.

Conclave forgia un'estetica che va oltre il realistico, senza essere stereotipata

Il cast è assolutamente perfetto, capitanato da un Ralph Fiennes ancora una volta strepitoso, affiancato da un’Isabella Rossellini presente col contagocce ma sempre decisiva e ironica. Sergio Castellitto conquista nel ruolo di diva della situazione, villain carismatico, un personaggio al di qua del caricaturale di pochissimo, ma in cui da italiani si possono rivedere parecchi esponenti passati della CEI.

A dare quell’allure di film prestigioso al film ci pensa la regia di Edward Berger, cineasta tedesco che costruisce con attenzione e gusto la composizione di ogni singola inquadratura, facendo il balzo dal realistico al cinematografico, dando a certi conciliaboli notturni tra cardinali una qualità pittorica. Senza mai rescindere il legame con la realtà, senza mai cedere a una visione stereotipata e barocca del Vaticano, Berger crea un’estetica precisa, rigorosa ma ricca di armonie e contrasti, fatta di immagini incisive, coadiuvato dalla fotografia enfatica e a tratti teatrale del francese Stéphane Fontaine.


È come vedere il papato di Sorrentino (The New Pope) o Moretti (Habemus Papam), ma senza il livello meta-narrativo, il riferimento (talvolta egotico) su di sé, il postmoderno in cui il contenitore commenta il contenuto. Conclave prende sul serio quello che fa e i suoi personaggi tragici e ironici, curando la sua forma fino a raffinarla in un’estetica che oggi solo il cinema autoriale sembra prendersi la briga di portare avanti, o progetti in cui l’aspetto è cruciale per la narrazione stessa del film.

Detto in termini ancora più diretti: Conclave è un film che fa molto bene e con grande cura ciò che vuole fare e stupisce perché questo tipo d’ambizione è un po’ svanita dal cinema commerciale. Anzi, a essere quasi scomparso è proprio questo tipo di film di fascia media, rivolto a un pubblico molto ampio ma senza imponenti campagne di marketing e scene d’azione faraoniche. Un cinema che, seppur con qualche semplificazione e con un certo gusto per il colpo di mano, cerca di raccontare un microcosmo religioso usando i toni e le strutture più familiari al pubblico, come quelli del giallo e della fantapolitica d’intrattenimento.