Death of a Unicorn: A24 ha perso il suo tocco per il horror? La recensione del film con Jenna Ortega

Dopo Opus, Death of a Unicorn è l’ennesimo debutto horror di casa A24 che si rivela una delusione, nonostante Jenna Ortega.

Death of a Unicorn A24 ha perso il suo tocco per il horror La recensione del film con Jenna Ortega

Di Death of a Unicorn, esordio alla regia dell’ex produttore Alex Scharfman, viene da dire che pare un film horror prodotto sotto il marchio di Blumhouse. Non è un complimento e non è nemmeno un commento così immediato per chi non è aggiornato sulle scuderie produttive horror a Hollywood, per cui spiego meglio. Death of a Unicorn è prodotto da A24, piccola realtà indie statunitense assurta negli ultimi anni a casa di produzione prediletta dai cinefili per la grande attenzione che dà al cinema d’autore giovane e innovativo e per la capacità di scovare e lanciare giovani talenti. A24 ha una spiccata predilezione per gli horror e non a caso: è il cinema di genere che, per antonomasia, costa meno fare ed è più semplice vendere al grande pubblico. Negli anni autori come Ari Aster e Robert Eggers sono stati lanciati o hanno trovato un supporto importante per produrre le loro opere più ardite e radicali proprio da A24.

Death of a Unicorn: A24 ha perso il suo tocco per il horror? La recensione del film con Jenna Ortega

Blumhouse parte un po’ dagli stessi presupposti: a fondare questa piccola casa di produzione è stato Jason Blum, dopo essersi fatto un nome come regista horror. La missione è la stessa: sfruttare la possibilità di produrre horror a costi contenuti e attrarre il pubblico affezionato al genere in sala, con buone probabilità di ripagare l’operazione e una non trascurabile chance di lanciare un franchise di successo. È quello che è successo con The Conjuring, M3gan e vari spin off.

La sostanziale differenza tra A24 e Blumhouse è che la seconda ha una logica più industriale e rivolta al mainstream. Non significa che necessariamente i film che produce siano brutti, ma c’è un sapore molto alla Fruttero & Lucentini nella velocità ed efficienza con cui vengono prodotti e provati innumerevoli franchise ogni anno. Tanto che qualche tempo fa Universal (che è la major con una strategia più affine tra le grandi sorelle di Hollywood) ha acquisito il marchio. 

Gli unicorni come mostri horror

Tornando a Death of a Unicorn: è un film che arriva con l’egida di A24 e quindi le aspettative sono medio-alte. Sulla carta Alex Scharfman, che scrive soggetti da quando è adolescente e che ha una certa esperienza in ambito produttivo, è un esordiente in grado di reggere la sfida di gestire un lungometraggio da solo, da autore e regista esordiente ma non a digiuno delle logiche cinematografiche.

L’idea di partenza del film è duplice e stuzzicante. Da una parte abbiamo un horror che sostituisce il mostro di pellicola con gli unicorni, animali mitologici che nel corso dei millenni hanno assunto varie accezioni e significati. Quelli del film sembrano usciti da un bestiario: meno puledri e più miscuglio di creature (cavalli, leoni, giumente, tori), meno aggraziati e più letali.

I protagonisti della pellicola, interpretati da Paul Rudd e Jenna Ortega, sono un padre e una figlia ai ferri corti che finiscono per investire per sbaglio un giovane unicorno. Il padre sta andando a casa del ricchissimo magnate della farmaceutica per cui lavora, un uomo ricchissimo in fin di vita per una brutta malattia. Non potendo tardare, l'avvocato carica la carcassa in auto e arriva al villone immerso nella foresta.

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La satira di Death of a Unicorn è molto surperficiale

La famiglia del magnate introduce il secondo commentario della pellicola, la parte se vogliamo più autoriale. Secondo Scharfman infatti la famiglia milionaria di Death of a Unicorn è ispirata agli Sackler, i proprietari del colosso americano della farmaceutica ritenuto responsabile della drammatica crisi degli oppioidi in corso negli States. Il problema più grosso è che, anche avendo una certa familiarità con la vicenda, il film è così vago e superficiale nella sua critica ai milionari che perde in specificità e a riguardo si limita a una critica blanda, già vista, mai incisiva. Quella di Death of a Unicorn è una satira innocua e molto approssimativa su avidità e vizi di una famiglia di affaristi arrivisti e inconsapevoli di come sia il mondo là fuori, lontano dal loro buen ritiro in mezzo alla foresta. Un po’ The White Lotus, un po’ Succession, ma senza la capacità di essere incisivi e unici in quel che si ha da dire sull’argomento.

Death of a Unicorn ha una buona partenza e potrebbe essere, se non un film da forte commentario politico, quantomeno un horror gradevole. Tuttavia Scharfman si perde completamente per strada, soprattutto in qualità di scrittore, gestendo davvero malamente una serie di passaggi che sgonfiano di colpo il film. C’è per esempio una scena in cui il personaggio di Ortega, bloccata in un typecasting da adolescente emo arguta, spiega agli altri interpreti che gli unicorni sono in realtà pericolosi e dovrebbero essere lasciati in pace. L’ha dedotto studiando alcuni vecchi arazzi che le aveva mostrato la madre prima di morire. Ebbene, la sua spiegazione è così confusa a approssimativa che non si può che dar ragione ai milionari che le rispondono ridendole in faccia e continuando a tentare di far soldi sulle incredibili proprietà curative del corno.

Death of a Unicorn: A24 ha perso il suo tocco per il horror? La recensione del film con Jenna Ortega

Ci sono anche problemi di regia e montaggio. Si rimane a bocca aperta per esempio di fronte a madornali errori di continuity, come quando Ortega viene spinta su un balcone e alle sue spalle è quasi l’alba, c’è un taglio e quando lei si butta in giardino scavalcando la balaustra c’è una luce da metà mattinata. Il finale poi, oltre che prevedibile e inutilmente arzigogolato, cerca un effetto sorpresa forzato, risultando però un po’ insulso e poco centrato. Senza contare che interpreti come Richard E. Grant, gente che sa gestire l’assurdo e il grottesco con grande naturalezza, devono destreggiarsi tra battute pungenti e altri passaggi per nulla ispirati o fiacchi e in definitiva non viene dato loro materiale all’altezza delle proprie capacità.

Death of a Unicorn

Durata: 107'

Nazione: Stati Uniti

4.5

Voto

Redazione

TISCALItestatapng

Death of a Unicorn

Death of a Unicorn arriva in sala sotto l’egida di A24 ma è facile scambiarlo per un film Blumhouse e neppure di quelli così riusciti. A fronte di un punto di partenza stuzzicante, la pellicola horror viene travolta dalla sua incapacità di dire qualcosa di incisivo e profondo rispetto a tematiche molto battute nel cinema e in TV oggi, solitamente da autori più carismatici. Purtroppo non funziona nemmeno come genuino divertissement horror: nella seconda parte fatica a gestire il suo minutaggio contenuto di 107 minuti e incappa in un paio di errori di montaggio e sviste di regia difficilmente perdonabili anche a un debuttante.

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